- Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali, Università di Torino

- Dipartimento di Scienze Mineralogiche e Petrologiche, Università di Torino.

- Department of Chemistry and Chemical Engineering, University of Paisley, Glasgow.

 

 

 

 

 

 

Tesi di Dottorato di Ricerca in Chimica Agraria, XI Ciclo

 

"Comportamento chimico e mobilità di alcuni metalli pesanti in un'area circostante una fonderia"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Candidato:   Luigi Gallini



            Ringraziamenti

            Rileggendo la tesi che presento mi accorgo che di lei tutto si può osservare eccetto che sia un prodotto finito. Pare piuttosto un percorso intorno ai problemi posti dall'inquinamento del suolo di metalli pesanti. Se qualche risultato conclusivo è stato raggiunto, lo devo alle molte persone che mi hanno aiutato, incoraggiato, indirizzato, ed allietato nell'attività di ricerca bibliografica, di raccolta dei dati e della loro valutazione critica.

            Innanzi tutto vorrei ringraziare Aurelio Facchinelli, più un amico che un tutore, sia per quando mi ha, che per quando non mi ha tollerato nei momenti di sconforto. Quindi Marinella Franchini Angela, Emiliano Bruno, Piera Benna, Bruno Alessandria, Vittoria Pischedda, Franco Rolfo ed Elisa Sacchi. Non per ultimi ringrazio Franco Roberto e Fabrizio Negri, del DSMP, e Gianmaria Zuppi del dipartimento di Scienze della Terra.

            Ringrazio inoltre il personale del Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali - Sezione Chimica Agraria. La signora Enza Arduino, innanzi a tutti, che pur essendo andata in pensione ha continuato a prodigarmi delle sue graditissime osservazioni, come peraltro la gentilissima, e colta, signora Elisabetta Barberis. Un ringraziamento particolare va a Eleonora Bonifacio, con la quale ho avuto il piacere di collaborare a lungo e solidalmente, e a Riccardo Scalenghe, Luisella Celi e Maria Martin, con i quali ho divagato a piacere nel magico mondo che orbita attorno alla scienza del suolo. Ringrazio Giovanni Deluca, Bruno Biasiol e il dottor Cignetti senza il cui aiuto non saprei reggere un matraccio misurare un pH o interpretare una misura spettrofotometrica. Un ringraziamento particolare infine al prof. Ermanno Zanini, per avermi gentilmente coinvolto nei suoi interessanti studi sull’erosione. Desidero inoltre ringraziare il numeroso "staff" dell'Università di Paisley, che mi ha generosamente ospitato dieci mesi nonostante le tremende gaffe di cui, come in Italia, sono stato capace. Andrew Hursthouse, che come Aurelio Facchinelli è stato più un amico che un tutore, ma anche Peter, Luise, Bob, Adrian, Jeff, Margaret, Ruth, Steve, Pamela. A Guy Wilthshire rivolgo un ringraziamento particolare per aver messo a punto la determinazione simultanea di As, Bi ed Sb per generazione degli idruri. Un ringraziamento particolarissimo a Mr. David Sterling, per le bellissime digressioni nel campo dello scibile mi ha concesso nel corso delle lunghe misurazioni all'ICP.


Indice

1.      Metalli pesanti e suoli .………………………………............................................... 1

1.1.   Considerazioni generali ..............................................…………………………............ 1

1.1.1. Osservazioni sul concetto di vulnerabilità associato ai suoli  ..........…………………...... 2

1.2    I metalli pesanti ..........................................................……………………………............ 4

1.2.1  Metalli pesanti e suoli agrari .......................................................…………………………... 5

1.2.2. Assimilazione nel vegetale dei metalli pesanti ....................……………………….............  9

1.3.   Sorgenti dei metalli pesanti nei suoli ......................………………………….......... 10

1.3.1. Sorgenti naturali, il substrato roccioso ..........................………………………................. 10

1.3.2. Sorgenti antropiche: attività civili, industriali ed agricole .............…………………...... 13

1.3.3. I cicli petrogenici, il comportamento nel suolo e le principali fonti                                            inquinanti di As, Bi, Sb, Pb, Cd, Zn, Cu, Co, Ni e Cr .............………………………........ 16

1.3.3.1.         Arsenico (As) .........................................................……………………...................... 18

1.3.3.2.         Bismuto (Bi) .......................................................................…………………….......... 26

1.3.3.3.         Antimonio (Sb) ..................................................................…………………….......... 38

1.3.3.4.         Piombo (Pb) ...............................................................……………………….............. 42

1.3.3.5.         Cadmio (Cd) ......................................................................………………………....... 59

1.3.3.6.         Zinco (Zn) ...........................................................................………………………...... 68

1.3.3.7.         Rame (Cu) .........................................................................…………………………... 70

1.3.3.8.         Nichel (Ni) .............................................................................…………………..….... 71

1.3.3.9.         Cobalto (Co) .........................................................................……………………….... 71

1.3.3.10.     Cromo (Cr) .............................……………………................................................... 72

 

2.               Obiettivi......……………………............................................................................ 73

 

3.               Materiali e metodi .......…………………….................................................... 74

 

3.1.   Inquadramento geologico, pedologico e climatico della Contea di Cliland e del Comune di Villadossola……………………………..…………………………….. 74

3.1.1. La contea di Cliland, Glasgow, Scozia ..…………………………....................................... 74

3.1.2. Il comune di Villadossola, Verbania, Italia ………………………….................................. 77

3.2.  Campionamento ...……………………………............................................................. 84

3.3.  Preparazione dei campioni ..…………………....................................................... 86

3.4.  Determinazione dei parametri fisici e chimici dei suoli. ……………. 86

3.5.  Trattamento statistico dei dati ....................………………...............................  90

3.6.  Determinazione della concentrazione litogenica                                      dell'elemento .......…………………………................................................................... 91

3.7.  Determinazione della concentrazione antropica                                      dell'elemento ..............................…………………………............................................ 95

3.8.  Determinazione della velocità di lisciviazione degli                                  inquinanti ............................……………………………..................................................  96

3.8.1. Scelta del modello .................……………………………...................................................... 96

3.8.2. Sviluppo del modello .............…………………………...................................................... 101

3.8.3  Il significato matematico, chimico e fisico del modello a serbatoi e flussi ………….. 104

3.8.3.1.         La costante Kn ................………………………........................................................ 104

3.8.3.2.         La velocità di lisciviazione Vn  ...........……………………....................................... 104

3.8.3.3.         Il tempo di semisvuotamento t(1/2)n ...…………………........................................... 105

3.8.3.4          Il tempo di residenza Trn .........……………….................................................. 105

 

4.             Risultati .............……………………................................................................. 106

4.1.  I suoli ............................………………………………...................................................... 106

4.1.1. I profili pedologici ..........…………………………............................................................. 106

4.1.2. I fattori di formazione del suolo .............………………………….................................... 115

4.1.3. Influenza della geomorfologia e dell'uso del suolo sulle proprietà                                             chimiche e fisiche dei suoli di Villadossola .……………………….................................. 117

4.1.3.1.         Tessitura ................................……………………................................................... 117

4.1.3.2.         Sostanza organica ...........……………………......................................................... 123

4.1.3.3.         Capacità di scambio cationico ...…………………................................................. 125

4.1.3.4.         Il pH ..........................................………………………............................................. 133

4.1.4. Analisi micromorfologiche ...................…………………………..................................... 134

4.1.5  Composizione mineralogica dei suoli di Villadossola .....……………………............... 139

4.2.  Metalli pesanti estratti dall’acquaregia .....…………………................... 142

4.2.1. Stima delle concentrazioni litogenica ed antropica ....…………………….................... 142

4.2.2. Stima dell'arricchimento antropico dei metalli pesanti ..……………………................ 145

4.3.  La lisciviazione degli inquinanti ....…………………….................................. 148

4.3.1. La velocità di lisciviazione ......................………………………….................................... 148

4.3.2. Il tempo di residenza dell'inquinante nel suolo ....................……………………........... 154

4.3.3. Stima del tempo di autodepurazione dei suoli ........……………........................ 158

4.4.  Biodisponibilità di Co, Ni, Cu, Zn, Cd, e Pb nei suoli di                           Villadossola .....…………………………...................................................................... 160

4.6.  Distribuzione areale dei metalli pesanti nel comune di                                   Villadossola ....……………………………....................................................................... 165

4.7.  Raffronto della concentrazione totale e biodisponibile con i limiti di legge della Regione Piemonte ....……………………....…………………………………... 165

 

5.            Conclusioni .............…………………........................................................... 166

 

6.            Appendici ...........…………………................................................................. 167

6.1.  A1. Caratteristiche della stazioni di campionamento ..…………….. 168

6.2.  A2.Principali caratteristiche chimiche e fisiche dei suoli ………. 70

6.3.  A3. Metalli pesanti in traccia estratti dall'acquaregia .………….... 173

6.4.  A4. Elementi maggiori estratti dall'acquaregia ....…..……………...... 176

6.5.  A5. Elemento estratto dal reagente di Lakanen .....…………….......... 178

6.6.  A6. Principali proprietà chimiche e fisiche dei suoli su cui                      si è studiata la lisciviazione ......................……………............................ 179

6.7.  A7. La costante cinetica del rilascio, la velocità di                                   lisciviazione ed il tempo di residenza ......………………….......................... 181

 

7.               Bibliografia ...................…………………..................................................... 183


1.

METALLI PESANTI E SUOLI

             1.1.         Considerazioni generali

            Per lungo tempo si è ritenuto che il suolo avesse la capacità di trattenere le sostanze inquinanti tamponandone gli effetti evidenti entro poco tempo. Si è quindi sempre prestata più attenzione a quei comparti ambientali, come l’aria o le risorse idriche superficiali che, invece, reagiscono all’inquinamento antropico ripercuotendosi sull’ambiente con maggiore immediatezza. La capacità del suolo d’accumulare le sostanze inquinanti può effettivamente impedire l’immediata contaminazione d’altri comparti ambientali ma può anche, determinare un improvviso rilascio degli inquinanti una volta raggiunto il limite di ritenzione. Per questo motivo si è recentemente rivalutato il problema dell’inquinamento del suolo, un argomento di cui si dispongono di relativamente poche informazioni, come può evincersi d’altronde dalle gravi lacune di cui soffre la legislazione ambientale inerente alla tutela dei suoli.

            I potenziali rilasci sono direttamente collegati alla solubilità e alla mobilità dei composti inquinanti poiché, da queste proprietà, dipendono eventuali assorbimenti da parte delle colture agricole, i “flussi” verso le acque superficiali, sotterranee ed oceaniche, e, quindi, pericolose conseguenze per la fauna e la flora del suolo e gli ecosistemi ad esso collegati.

            Tra i potenziali inquinanti, particolarmente temuti sono i cosiddetti metalli pesanti i quali, poiché elementi, non sono soggetti ad alcun processo di decomposizione qual è la metabolizzazione microbica che decompone i composti inorganici, e permangono quindi nel suolo fino a che non siano trasportati da qualche meccanismo chimico, fisico o biologico in un altro comparto ambientale.

            La presenza di metalli, se in concentrazione superiore a determinate soglie, perturba gli equilibri microbiologici del suolo, condizionandone negativamente la fertilità. I metalli pesanti alterano anche il processo d’assorbimento radicale da parte dei vegetali, con il rischio che una loro eccessiva concentrazione nei suoli adibiti a colture agricole comprometta sia la resa quantitativa del prodotto, che quella qualitativa, determinata dall’ingresso degli inquinanti nella catena alimentare. Anche per i metalli pesanti, come per i composti organici, esiste inoltre il rischio di una discesa verticale attraverso il suolo fino a provocare l’inquinamento delle acque sotterranee.

            La determinazione di soglie di nocività per i vari metalli presenti nei suoli rappresenta un problema piuttosto complesso, poiché, oltre a manifestarsi una risposta molto diversa da parte di differenti specie vegetali, anche i comportamenti chimici di tali elementi possono variare molto da suolo a suolo. Questa diversità di comportamenti è presa in considerazione nel concetto di vulnerabilità dei suoli.

            1.1.1. Osservazioni sul concetto di vulnerabilità applicato ai suoli

            Il concetto di vulnerabilità dei suoli è direttamente collegato a quello d’impatto ambientale, inteso come risultante del prodotto di due fattori, la probabilità che occorra un evento indesiderato (rischio) e la gravità delle conseguenze di tal evento (danno). La gravità degli effetti dipende, a sua volta, da due fattori distinti: l’intensità dell’evento stesso (magnitudine) e la risposta dei comparti ambientali coinvolti (vulnerabilità).

            Storicamente il concetto di vulnerabilità è stato applicato alle acque sotterranee. Per le acque sotterranee la vulnerabilità è stata quantificata nei termini della minore o maggiore protezione della falda offerta dalla capacità tampone del suolo e della zona non satura soprastanti, ovvero alla capacità del suolo di trattenere gli inquinanti ed impedirne la traslocazione nella falda idrica.

            L’applicazione del concetto di vulnerabilità al suolo rappresenta un problema certamente più complesso poiché questo oltre a proteggere le falde idriche dall’inquinamento, svolge molteplici altre funzioni utili (biologiche, ecologiche, agronomiche, ricreative, economiche, geologiche, urbanistiche etc. etc.) ed ognuna di queste funzioni in linea di principio generale viene ad essere compromessa o diminuita in misura diversa da ogni singolo fenomeno o processo che costituisce un rischio per ogni singola funzione utile che esso esercitata. I fattori di vulnerabilità del suolo sono quindi tanto numerosi quante sono le sue funzioni a cui si attribuisce un’utilità.

            Ci si può ulteriormente rendere conto della complessità dell’argomento volendo anche solo considerare la vulnerabilità del suolo nei confronti dell’impatto ambientale conseguente l’inquinamento chimico. Un suolo contaminato può, infatti, dare luogo due tipi fondamentali d’impatto ambientale, quello determinato dall’assimilazione dell’inquinante da parte dei vegetali e il conseguente ingresso della sostanza tossica nella catena alimentare, e quello determinato della migrazione della sostanza tossica nelle acque sotterranee. I parametri relativi ai due tipi di vulnerabilità non necessariamente coincidono; infatti, un suolo che, permetta una rapida discesa dell’inquinante verso la falda idrica può essere considerato poco vulnerabile in termini di contaminazione della biomassa vegetale e molto vulnerabile in termini di potenziale contaminazione delle acque.

            Le complicazioni aumentano qualora si approfondisca l’analisi della vulnerabilità del suolo nei confronti dei singoli possibili contaminanti e le loro diverse interazioni nei confronti delle diverse fasi che costituiscono il “sistema” suolo; le sostanze organiche presentano, ad esempio, comportamenti differenti da quelli assunti dai composti inorganici ed entrambe le classi di composti al loro interno mostrano ulteriori importanti differenze, quali, per esempio, quelle esistenti fra ioni positivi e negativi o fra molecole polari e non.

            Infine, nel caso fosse possibile definire bassa la vulnerabilità di un suolo nei confronti di una determinata sostanza inquinante, sulla base della capacità del suolo a tamponare la sostanza tossica in forme chimiche non assimilate e non lisciviate, va ricordato che tale suolo potrebbe comunque essere considerato vulnerabile rispetto all’improvviso rilascio di inquinante che succede al superamento della capacità tampone o al mutamento delle condizioni pedoambientali (uso del suolo, composizione dell’acqua piovana e di irrigazione, cambiamento climatico etc. etc.).

            L’improvviso ed indesiderato rilascio dell’inquinante in forme solubili e biodisponibili è stato definito da Stigliani (1992) come bomba ad orologeria chimica (B.O.C.), e, da tempi recenti, è stato ed è oggetto di intensi studi. E’ possibile quindi affermare che un suolo, convenzionalmente definito a bassa vulnerabilità perché dotato della capacità di tamponare elevate quantità di inquinanti in forme non tossiche, presenta un’elevata vulnerabilità in termini di improvvisi ed indesiderati rilasci di sostanze tossiche in forme solubili. L’improvviso rilascio di un metallo pesante si verifica quando:

 

-           l’immissione del metallo pesante supera la capacità di ritenzione del suolo;

-           la capacità d’immagazzinamento di un suolo diminuisce in seguito alla variazione delle condizioni ambientali.

 

            I parametri fondamentali che regalano la capacità del suolo di immagazzinare i metalli pesanti sono: il pH, il potenziale redox, il contenuto di sostanza organica e la capacità di scambio cationico. Le attività umane che possono alterare tali proprietà del suolo sono numerose.

Tra le più rilevanti rientrano le emissioni in atmosfera di sostanze, come ad esempio l’anidride solforosa (SO2) prodotta durante la combustione del carbone e del petrolio, che acidificano le piogge e provocano di conseguenza, l’abbassamento del pH del suolo. I valori del pH del suolo possono subire variazioni anche a causa di pratiche agricole come la calcitazione, che ne provoca l’aumento, o l’uso di fertilizzanti.

            Anche il potenziale redox può mutare a seguito dell’intervento antropico, per via del drenaggio di suoli sommersi o a causa dell’irrigazione praticata in quelli aridi al fine di un loro possibile impiego agricolo.

            Il contenuto in sostanza organica può essere incrementato dal riciclo dei residui dei raccolti e dall’aggiunta di concime biologico, mentre un inappropriato riciclo della sostanza organica, in pratiche agricole intensive e depauperanti, può causarne un deficit.

            La capacità di scambio cationico viene indirettamente alterata dalle attività che modificano il pH, il contenuto in sostanza organica e la salinità della soluzione circolante; quest’ultima, ad esempio, è provocata dall’uso di acque irrigue salmastre, tipico delle aree costiere dove le riserve idriche sotterranee sono sovrasfruttate. La salinizzazione del suolo può causare l’alterazione degli equilibri di scambio ionico (Sequi P., 1989) a favore della solubilizzazione dei metalli pesanti.

            Da quanto detto si deduce chiaramente l’importanza che riveste lo studio del comportamento chimico e della mobilità dei metalli pesanti nell’ambito delle indagini ambientali.

 

         1.2.   I metalli pesanti.

            Con la definizione di “metalli pesanti “ vengono identificati quegli elementi che presentano le seguenti caratteristiche comuni:

 

-           hanno una densità superiore ai 5,0 g/cm3;

-           si comportano in genere come cationi;

-           presentano una bassa solubilità dei loro idrati;

-           hanno una spiccata attitudine a formare complessi;

-           hanno una grande affinità per i solfuri, nei quali tendono a concentrarsi;

-           hanno diversi stati di ossidazione a seconda delle condizioni di pH ed Eh;

           

I metalli pesanti, con l’eccezione del Fe e dell’Al, appartengono ai cosiddetti “elementi in traccia”, presenti nei più comuni suoli e rocce della crosta terrestre in concentrazioni inferiori allo 0,1%. Le loro concentrazioni nei suoli, nei sedimenti e nelle rocce sono solitamente di parti per milione o per miliardo. Gli elementi in traccia  sono così definiti in contrapposizione agli otto elementi maggiori, O, Si, Al, Fe, Ca, Na, K e Mg che sono presenti nella crosta terrestre in concentrazioni superiori all’1% (Faure, 1992).

Generalmente vengono considerati metalli pesanti l’Ag, il Ba, il Cd, il Co, il Cr, il Mn, il Hg, il Mo, il Ni, il Pb, il Cu, lo Sn, il Tl, il Ti, il V, lo Zn, alcuni metalloidi, con proprietà simili a quelle dei metalli pesanti, quali l’As, l’Sb, il Bi ed il Se (Adriano, 1986. Alloway, 1995.  Salomon e Förstner, 1984).

            Tra questi, gli elementi che determinano più spesso fenomeni d’inquinamento sono: Cd, Co, Cr, Cu, Mn, Mo, Ni, Pb, Sn e Zn Se (Adriano, 1986. Alloway, 1995.  Salomon e Förstner, 1984). Nella sua classificazione geochimica Goldschmidt (Faure, 1992) distingue gli elementi, compresi i metalli pesanti, in (Tabella T12-1):


 

Tabella T12-1. Classificazione geochimica degli elementi secondo Goldschmidt.

 

 

 


 

 

 

 

 


-           siderofili: aventi affinità per i legami metallici tipici delle leghe;

-           calcofili: aventi spiccata affinità per i legami semimetallici tipici dei solfuri;

-           litofili: caratterizzati dall’affinità per i legami ionici tipici dei silicatici e degli ossidi;

-           atmofili: aventi bassa affinità per i precedenti legami e pertanto accumulati nell’atmosfera.

 

La maggior parte dei metalli pesanti cade nella categoria dei calcofili, fornendo una prima generica indicazione circa il loro comportamento chimico.

            Negli ultimi decenni i flussi litosfera-biosfera, litosfera-atmosfera, atmosfera-biosfera relativi a diversi metalli pesanti quali Pb, Hg, Cd, è cresciuto superando abbondantemente quello naturale  (Adriano, 1986. Alloway, 1995.  Salomon e Förstner, 1984. Mckanzie et al., 1979). In questo contesto si intende con il termine biosfera quel comparto ambientale che contiene il suolo, le acque superficiali e sotterranee, l’atmosfera e la biomassa ed ha solitamente il suolo come “accumulatore” finale dei flussi inquinanti.

            Le cause principali dell’alterazione di questi flussi bio-geochimici sono imputabili alla crescente domanda di prodotti contenenti metalli pesanti utilizzati nelle attività industriali  e nelle moderne tecniche agrarie ad al conseguente incremento dell’attività mineraria, siderurgica e della produzione e dello stoccaggio dei relativi  rifiuti.

 

            1.2.1. Metalli pesanti e suoli agrari.

            Il contenuto totale in metalli pesanti nei suoli agrari è il risultato degli input provenienti da sorgenti diverse (figura F121-1) e può essere rappresentato dalla seguente formula:

 

Mtotale = (Mr + Md + Mf + Mpc + Mro + Mia) – (Ma + Mv + Me + Ml)

 

dove:

 

M = metalli pesanti; r = roccia madre; d = deposizione atmosferica, f = fertilizzanti; pc = prodotti chimici di varia natura utilizzati in agricoltura; ro = rifiuti organici, ia = immissioni accidentali di varia origine; a = assimilazione nei raccolti; l = lisciviazione; v = volatilizzazione; e = erosione.

 

 La somma (Mp + Ma + Mf + Mac + Mow + Mip) rappresenta gli apporti complessivi al “sistema” suolo, mentre la somma (Mcr + Mv + Me + Ml) costituisce le perdite che tale “sistema” può subire.

            Dal contenuto di elemento nel suolo (in moli  ettaro-1) dividendo per la velocità delle perdite (moli × anno-1 ha-1) è possibile stimare il periodo di residenza media (in anni) di ciascun elemento nel suolo. Si stima per il Cd un tempo di residenza nel suolo compreso tra 75 e 380 anni e, per elementi più fortemente adsorbiti, quali l’As, il Cu, il Ni, il Pb, il Se e lo Zn tempi di residenza compresi tra 1000 e 3000 anni. Vengono considerati degli intervalli di tempo così ampi poiché si è tenuto conto di tutte le differenti condizioni in cui possono trovarsi i suoli. Il lungo tempo di residenza indica che un suolo soggetto ad un flusso inquinante tende ad accumulare la sostanza tossica e raggiungere elevate concentrazioni di equilibrio con le perdite. Un lungo tempo di residenza indica inoltre che, una volta cessato il flusso inquinante è necessario un tempo assai lungo affinché la concentrazione dell’inquinante nel suolo ed i relativi flussi verso i comparti ambientali ad esso associati (figura F121-2) ritornino ai valori iniziali.

                     Fino ad oggi si ritiene che alcuni metalli pesanti non abbiano relazioni dirette con lo sviluppo della biomassa, anzi si considerano potenzialmente tossici, mentre altri risultano essenziali per la nutrizione e la crescita di piante ed animali, manifestandosi però nocivi nel caso in cui le loro concentrazioni superino delle soglie che sono variabili da elemento ad elemento e da organismo ad organismo (Tabella T121-1).

            Per quegli elementi in traccia necessari allo sviluppo degli esseri viventi vengono utilizzati anche i sinonimi “microelementi”, “micronutrienti” ed il termine anglosassone “trace inorganics”. La concentrazione di metallo pesante nel suolo alla quale non si osservano effetti negativi indesiderati,

ovvero “sicura”,  è comunque difficile da stabilire in quanto la tossicità può dipendere da fattori che si sommano alla concentrazione dell’elemento.

            Nella Tabella T121-2 sono riportati gli intervalli entro i quali si situano le concentrazioni dei metalli pesanti osservate nei suoli e, nella seconda colonna, gli intervalli che contengono la maggioranza dei dati osservati. Particolarmente interessante è la terza colonna, in cui sono riportati gli intervalli di valori entro i quali si ritiene possibile la tossicità in qualche forma. Anche questi valori sono dati come intervallo, talvolta anche ampio, in dipendenza della grande incertezza che tuttora permane circa gli effetti di alte concentrazioni. Si può osservare che per molti elementi gli intervalli di concentrazione più frequentemente osservati nei suoli sono prossimi o si sovrappongono alle soglie di concentrazione critiche, giustificando l’attenzione che questi inquinanti ricevono.


Figura F121-1. Bilancio dei guadagni e delle perdite di metalli pesanti dal suolo.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura F121-2. Flusso di materia tra il suolo ed i comparti ambientali ad esso associati.

 

           



Tabella T121-1. Importanza ed effetti degli elementi pesanti in traccia sulla nutrizione di piante ed animali (elaborato da Adriano D.C. (1986) e  Alloway (1995).

 


Tabella T121-2. Intervalli e moda delle concentrazioni dei metalli pesanti misurate nei suoli            agrari in varie parti del mondo e soglie di concentrazione critiche.



            1.2.2.   Assimilazione nel vegetale degli elementi in traccia.

            Il processo di assimilazione degli elementi in traccia da parte dei vegetali può avvenire per trasporto attivo o passivo. Nel processo di trasporto passivo l’elemento viene assimilato senza dispendio di energia da parte del vegetale, mentre nel trasporto attivo l’assimilazione avviene attraverso processi biologici che comportano il consumo di energia. Il trasporto passivo si esplica principalmente attraverso l’assimilazione osmotica. L’assimilazione attiva viene principalmente esplicata dalla pompa protonica ed dal trasporto attraverso specifiche strutture della membrana cellulare dei peli radicali dette cromofori.

            Recenti ricerche hanno evidenziato (Gessa C., “Scuola di dottorato in Chimica Agraria” Torino 7-9 maggio 1997,  Comunicazione orale) come gli essudati radicali hanno un ruolo di rilievo nell’assimilazione degli elementi di transizione. Gli essudati radicali sono escreti dall’apparato radicale e sono composti da polimeri dell’acido galatturonico. Gli essudati radicali reagiscono con gli ossidi di ferro e di manganese riducendoli. Gli elementi di transizione occlusi negli ossidi di Fe e Mn liberati dal processo riduttivo migrano per osmosi attraverso l’essudato radicale fino a raggiungere la parete cellulare del pelo radicale. Qui possono essere quindi assimilati passivamente per osmosi od attivamente attraverso i gruppi cromofori.

            L’assimilabilità dell’elemento è condizionata in modo critico dalle forme in cui esso è presente nel suolo (Page A.L., Miller R.H., e Keney D.R. Eds, 1982). La biodisponibilità degli elementi di transizione decresce progressivamente in dipendenza dell’energia che lega l’elemento alle diverse componenti del suolo. La biodisponibilità è massima per lo ione “libero”, ovvero non complessato e decresce progressivamente dai complessi solubili, alle forme adsorbite aspecificatamente e specificatamente sui colloidi per raggiungere i valori di biodisponibilità minimi nelle forme occluse all’interno dei nei minerali pedogenetici e primari. L’insieme delle forme solubili, adsorbite ed occluse negli ossidi amorfi di Fe Al e Mn prende il nome di frazione labile. Essa assume un particolare rilievo in quanto indagini agronomiche (Page et al., 1982) indicano che la quantità di metallo assimilata dal vegetale è direttamente proporzionale a questa frazione.

            Nella modellistica che descrivere i cicli biogeochimici degli elementi mediante modelli a serbatoi e flussi (Lasaga A. C., 1980. Whitfield M, 1981. Lerman A. e Mackenzie F.T., 1975) e nella valutazione dell’impatto sanitario determinato dalla contaminazione dei suoli da metalli pesanti (Sheppard S.C., 1995. Zach R. e Sheppard S. C., 1991) si assume empiricamente che la concentrazione dell’elemento nel vegetale sia direttamente proporzionale alla concentrazione nel suolo, si assume cioè che il rapporto tra la concentrazione dell’elemento nella biomassa vegetale e quella del suolo, detto “fattore di trasferimento suolo-pianta  sia approssimativamente costante (tabella T122-1).


Tabella T122-1. Fattori di trasferimento suolo-pianta.

 


 Nella tabella sono distinti i fattori di trasferimento suolo-pianta degli organi vegetali vegetativi e quiescenti. Tali fattori sono soltanto indicativi dell’ordine di grandezza del fattore di trasferimento suolo-pianta  in quanto, come evidenziato da prove di terreno effettuate in campi minerari (Sheppard S.C. and Eveden W.G., 1990) i fattori di trasferimento risentono fortemente delle forme in cui il metallo è presente nel suolo.

Per una stima più accurata del fattore di trasferimmento suolo-pianta Sillampää M. (1982) impiega due soluzioni estraenti (il reagente di Lakanen e il DTPA). I due reagenti impiegati da Sillampää M. (1982), permettono, tenendo conto della concentrazione volumica del metallo pesante estratto dal suolo e di alcune  proprietà chimiche e fisiche del suolo quali il pH, il contenuto in sostanza organica e la  CSC, di stimare la concentrazione di Fe, Mn, Cu e  Zn  nel vegetale con un’incertezza che, pur variando da elemento ad elemento, è in media prossima al 30%.

            Un elemento oltre che dall’apparato radicale può essere assimilato dall’apparato fogliare. Considerata l’elevata entità della deposizione al suolo di alcuni metalli pesanti presenti nel particellato atmosferico quali Pb, Cd, Zn, Cu segnalata nelle aree urbane, industrializzate, ed anche molto lontane dai centri industriali (Alloway, 1990. Bertelsen B.O. et al., 1995. Carignan R. e Nriagu J.O., 1985. Shirahata H. et al., 1980) Sheppard S.C. et al. (1992) suggeriscono che nel valutare la biodisponibilità di un elemento e la concentrazione nel vegetale oltre che all’assimilazione radicale si consideri anche l’assorbimento fogliare. Sfortunatamente su questo processo biologico, come osservano gli  autori, si dispongono di poche informazioni.

                   1.3.   Sorgenti di metalli pesanti nei suoli

            Le possibili sorgenti di contaminazione da metalli pesanti, nell’ambiente in generale e nella pedosfera in particolare, hanno due origini: naturale o antropica. La principale fonte naturale è il substrato geologico mentre tra le sorgenti d’origine antropica le più rilevanti sono dovute alle attività civili ed industriali, responsabili di “input accidentali” legati essenzialmente a sorgenti puntiformi o lineari, ed alle pratiche agricole che rappresentano, invece, “input deliberati”, areali, determinati dalle metodologie utilizzate normalmente in agricoltura.

            1.3.1. Sorgenti naturali: il substrato roccioso.

            Nel corso del processo di alterazione delle rocce il reticolo cristallino dei minerali primari è distrutto dai processi pedogenetici, ed  i metalli pesanti presenti nei reticoli cristallini primari sono trasferiti nella soluzione circolante del suolo  (tabella T131-1). Una volta raggiunta la soluzione circolante essi possono essere lisciviati verso la falda idrica od essere occlusi nei reticoli cristallini dei minerali pedogenetici.

Come regola generale (Violante P., 1986 a. Violante P., 1989 b.) gli elementi aventi un elevato rapporto tra carica e raggio ionico, aventi in altri termini un elevato “potenziale ionico”, come Fe+3, Al+3, Mn+4, Cr+3 precipitano in forma di idrossidi ed ossidi insolubili. I metalli in traccia a elevato potenziale ionico come  Co, Ni, Cu, Zn, As, Se, possono vicariare Fe, Al e Mn nei relativi minerali. I metalli in traccia aventi basso potenziale ionico come Pb e Cd, simili al Ca ed al K,  hanno un raggio ionico troppo elevato per poter essere ospitati nel reticolo cristallino degli ossidi ed idrossidi di Fe Al e Mn, ma possono essere adsorbiti in forma scambiabile negli interstrati di Smectiti, Vermiculiti e Illiti. Gli elementi più facilmente lisciviati e con i tempi di residenza nel suolo minori sono quelli a basso potenziale ionico simili ai metalli alcalini ed alcalino terrosi, quali gli elementi delle terre rare. Tra i processi che trattengono gli elementi in traccia negli orizzonti superficiali del suolo vi è l’assorbimento nella biomassa  vegetale, che imprigiona l’elemento negli orizzonti organici del suolo attraverso il ciclo suolo-vegetale-suolo. Tra i processi che favoriscono la lisciviazione dei metalli pesanti vi è la complessazione con ligandi anionici  e la formazione di specie complesse  cariche negativamente poco trattenute dal complesso di scambio del suolo. Tra i ligandi che  formano i complessi più stabili con  i metalli pesanti vi sono  il Cl ed i gruppi carbossilici, fosforici e  tiolici della sostanza organica.

            Talvolta nei suoli si osservano elevate concentrazioni di metalli pesanti che possono essere attribuite alla presenza di anomalie geochimiche della roccia madre, come ad esempio capita con il Cr ed il Ni nel caso nei suoli che  derivano da un substrato costituito da rocce ultrabasiche e basiche, frequenti in tutti gli orogeni (Negretti G., Sabatino B., 1983). In generale si può osservare che, più un suolo è evoluto, meno è riscontrabile l’influenza della roccia madre nel contenuto di metalli pesanti che presenta il suolo a cui è altrimenti paragonabile (Whedepohl K.H. Ed, 1969).

Per mettere in luce il diverso comportamento dell’elemento nel corso della pedogenesi , di alcuni elementi sono stati riportati i rapporti tra la concentrazione nel suolo rispetto a quella della

roccia madre, detto “fattore di arricchimento nel suolo” (Sposito G., 1989. Vinogradov A.P., 1959., Faure G., 1992). Nella tabella  T131-2 sono riportati i fattori di arricchimento  osservati  nel Nord America negli anni ‘80. Si osserva che  alcuni elementi hanno fattori di arricchimento inferiori all’unità, mentre altri come Co e Ni hanno fattori di arricchimento prossimi ad 1. Altri ancora, come Cd, Pb ed As hanno fattori di arricchimento superiori all’unità.

            La concentrazione dei metalli pesanti nelle rocce sedimentarie, oltre che dalla composizione mineralogica dei costituenti terrigeni, dipende anche dalla capacità adsorbente del sedimento nonché

dalla concentrazione dell’elemento in traccia presente nelle acque in cui i sedimenti si sono deposti o

sono successivamente venuti a contatto (Bodek I. et  al, 1988. Bolth G.H., 1979. Salomons W. e Förstner U., 1984).


 


Tabella T131-1. Resistenza all’alterazione dei più comuni costituenti minerali delle rocce e gli elementi in traccia che possono essere ospitati nel reticolo cristallino.

 

 


 


Tabella T131-2. Intervallo della concentrazione degli elementi in traccia (mg/Kg) e loro tenori medi nelle principali rocce della crosta terrestre e nel suolo degli USA.

           

 


            La presenza o meno di un determinato metallo pesante in un minerale primario di una roccia ignea o metamorfica dipende dalla sostituzione isomorfa di uno o due degli elementi maggiori con uno o due degli elementi in traccia nella struttura cristallina del minerale. Affinché la sostituzione possa avvenire gli elementi vicarianti devono avere raggio ionico e carica simili. Quando il potenziale ionico dei due elementi differisce meno del 15% i due elementi hanno approssimativamente la stessa probabilità di essere ospitati nel reticolo cristallino. Quando la differenza tra i potenziali ionici supera il 36% la vicarianza tra i due elementi è completa solo alle alte temperature. (Faure G., 1992. Andrew J.E. et al., 1996. Negretti G., Sabatino B., 1983. Wedehpol, 1969). Il potenziale ionico  fornisce quindi un’indicazione sulla  probabilità che l’elemento in traccia sostituisca l’elemento maggiore e che quindi nel corso della fusione parziale di una roccia, nel coso della cristallizzazione frazionata di un magma o nel processo metamorfico tenda a concentrarsi nella fase liquida piuttosto che in quella solida.

            Il comportamento degli elementi in tracce nel processo di differenziazione magmatica e nel processo metamorfico dipende infatti dalla fase mineralogica che cristallizza. Nella formazione di magma basaltico (basico) che ha luogo in corrispondenza delle dorsali medio-oceaniche dalla fusione parziale dai minerali della peridotite del mantello vengono preferenzialmente solubilizzati quelli che hanno un potenziale ionico sensibilmente diverso da quello degli elementi che compongono i minerali principali della peridotite (Plagioclasi, Pirosseni, Spinelli) ovvero quegli elementi che hanno un basso potenziale ionico. Nel corso della cristallizzazione frazionata del magma basaltico vengono rimossi dalla fase fluida quegli elementi che come il  Co, il Ni e il Cr vicariano  il Fe e il Mg, nei relativi minerali ferro-magnesiaci, caratterizzati da elevata densità e alto punto di fusione. Le rocce acide sono quindi arricchite nei metalli pesanti a basso potenziale ionico quali il  Ba ed il  Pb che vicariano il Na ed il K nei feldspati alcalini. Distribuzioni più uniformi rispetto al contenuto in silice della roccia hanno il Cu, il Mn, l’As, il B, il Mo ed il Se (Faure G., 1992. Andrew J.E. et al., 1996. Negretti G., Sabatino B., 1983. Wedehpol, 1969). Il comportamento di questi elementi nell’evoluzione magmatica è spiegato da diversi fenomeni, qual è la precipitazione della pirite nei magmi basaltici per il Cu o la capacità di vicariare l’Al, come per  l’As.  Nella Tabella T131-2 sono indicate le concentrazioni medie di alcuni metalli pesanti nelle rocce più comuni costituenti la crosta terrestre.

 

            1.3.2. Sorgenti antropiche: attività civili, industriali ed agricole.

            Una delle sorgenti principali di emissioni gassose di metalli pesanti è rappresentata dai fumi prodotti dal consumo di combustibili per il riscaldamento (Tabella T132-1); circa l’84% delle ceneri prodotte dalla combustione dei carboni sono volatili ed il loro contenuto in elementi in traccia è piuttosto variabile, dipendendo sia dal tipo di carbone sia dalle condizioni di combustione (Tabella T132-2). Altre importanti fonti di emissioni in atmosfera contenenti elementi in traccia sono rappresentate dagli inceneritori di rifiuti e dal traffico veicolare.

            Anche durante il processo estrattivo dei metalli, nonché durante le successive operazioni di fusione e lavorazione, possono disperdersi nell’ambiente rilevanti quantitativi di elementi inquinanti attraverso i fumi e le polveri, immessi dalle ciminiere nell’atmosfera, ed i rifiuti liquidi rappresentati dalle acque utilizzate durante il ciclo produttivo.

            Durante la combustione dei carburanti e dei lubrificanti necessari ai mezzi di trasporto si libera Pb, mentre l’usura dei pneumatici diffonde Zn: in entrambi i casi vi è associata una liberazione di Cd.

            Di particolare interesse e rilevanza è il riutilizzo nell’agricoltura di quei fanghi, ricchi in sostanze organiche e minerali, prodotti dalla depurazione delle acque di scarico urbane (reflue), la cui principale limitazione d’uso dipende dai loro contenuti in metalli pesanti  (Adriano D.C., 1986. Alloway B.J., 1997) (tabella T132-3). Anche per i compost, risultato finale di un processo di trattamento dei rifiuti solidi urbani, la limitazione d’uso, come additivo per terreni agrari, è rappresentata dalla quantità di metalli pesanti presente (tabella T132-4). L’applicazione ai suoli di fanghi di depurazione e/o compost con un eccessivo contenuto in Cd, Cu, Ni, Pb e Zn in particolare, riduce la resa delle colture o, comunque, peggiora la qualità dei prodotti; il Cu, il Ni e lo Zn sono risultati i più fitotossici (vedi anche tabella T121-2). Tra le fonti d’inquinamento ambientale vanno infine  considerati i possibili rilasci di sostanze tossiche da parte delle discariche costruite prima dell’entrata in vigore del D.P.R. 915/82.

            Per quanto riguarda gli apporti dovuti alle pratiche agricole, la maggior parte sono dovuti all’utilizzo dei fertilizzanti sia per il fatto che la concimazione viene ripetuta stagionalmente sia perché vengono ottenuti dalla lavorazione di rocce fosfatiche (le Fosforiti) che contengono quantità variabili di As, Cd, Pb, Bi e Zn (Whedepohl K.H., 1969).  Il Co, il Cu e lo Zn sono contenuti, anche in notevoli quantità, nelle deiezioni degli animali, che, assimilandone soltanto percentuali molto basse (circa il 5%), fanno sì che le loro feci e le loro urine ne risultano molto arricchite. I problemi ambientali legati all’impiego delle deiezioni animali nascono, poiché, soprattutto nelle aziende ad indirizzo zootecnico e cerealicolo-zootecnico, vengono ridistribuiti su aree limitate o limitatissime per lunghi periodi di tempo. Stagionali apporti in Cu, Hg, Mn, Pb, As, Sn e Zn sono causati inoltre dall’uso di pesticidi di varia natura (Adriano D.C., 1986).

            Vista la complessità e la varietà delle possibili fonti d’inquinamento, specie nei paesi più industrializzati (tabella T132-5), il monitoraggio e la valutazione delle situazioni a rischio diventa di primaria importanza per il miglioramento della qualità della vita ed il rispetto dell’ambiente.

 


Tabella T132-1. Principali emissioni di metalli pesanti in atmosfera dell’Europa.

 



Tabella T132-2. Concentrazioni medie dei metalli pesanti delle ceneri di alcuni

combustibili fossili.

 


Tabella T132-3. Concentrazione limite dei metalli pesanti nei fanghi di depurazione utilizzabili come fertilizzanti.


 

 

Tabella T132-4. Concentrazione limite dei metalli pesanti presenti nei compost utilizzabili nella Regione Piemonte.

 


 


1.3.3.            I cicli petrogenici e il comportamento nel suolo  di As Bi, Sb, Cr, Pb, Cd, Zn, Cu, Co e Ni.

            Il suolo è definito come “quel sistema: in equilibrio tra litosfera, biosfera, idrosfera e atmosfera” (Sequi P., 1986). La concentrazione degli elementi pesenti nei suoli, nelle rocce crostali e negli oceani è infatti il risultato di equilibri biogeochimici tra l’attività della biosfera e i processi petrotettonici associati alla tettonica delle placche (figura F133-1). Gli equilibri bio-geo-chimici riportati nella figura F133-1 sono descrivibili da modelli a serbatoi e flussi. Questi modelli, a loro volta sono descritti da sistemi di equazioni differenziali, risolvibili analiticamente nel caso che tutti i flussi del sistema siano governati da cinetiche del primo ordine (Lasaga, 1980), oppure numericamente, nel caso siano controllati da cinetiche di ordine superiore. La sussistenza di un equilibrio tra il suolo, la litosfera e l’idrosfera è particolarmente evidente se si considera il coefficiente di ripartizione dell’elemento  tra l’acqua marina e il particellato oceanico è linearmente correlato sia al coefficiente di ripartizione dell’elemento tra l’acqua marina e la crosta continentale, che al tempo di residenza dell’elemento nell’oceano (figura F133-2), (Salomon W. e Förstner U., 1984). La summenzionata correlazione fornisce indicazioni di massima sui meccanismi di rimozione dell’elemento dall’acqua oceanica. Ulteriori informazioni possono essere tratte dalla sua distribuzione attraverso la colonna d’acqua oceanica (Figura F133-3).

Per alcuni dei metalli presi in considerazione nel presente lavoro si cercherà nei successivi paragrafi di riassumerne i cicli petrogenici, il comportamento dell’elemento nel peodoambiente, nelle acque oceaniche   e le principali fonti di inquinamento. In particolare Lo studio dei cicli petrogenici fornisce indicazioni utili a comprendere quei meccanismi di quei processi che nel corso delle ere geologiche hanno mantenuto in equilibrio la concentrazione dei metalli pesanti in traccia nelle rocce, nei suoli, nelle acque oceaniche e nella biomassa (Salomon W. e Förstner U., 1984. Whitfield M., 1981. Withfield M. e Turner D.R., 1992).I meccanismi e i processi che nel corso delle ere geologiche hanno mantenuto in equilibrio chimico la pedosfera, la biosfera, la litosfera, l’atmosfera e l’idrosfera, potrebbero permettere infine, mediante un appropriato modello a serbatoi e flussi, di valutare gli effetti sull’ecosistema planetario dell’inquinamento del suolo, ed in ultima analisi, di valutare la sostenibilità delle pratiche agricole ed industriali adottate nei paesi industrializzati (Lasaga A.C., 1980. Mackenzie et al., 1979. Lerman A., e Mackenzie F.T., 1975. Lantzy R.J., and Mckenzie F.T., 1979. Schwarzman D.W. e Walk T., 1989).

            Nelle pagine che seguono particolare attenzione è data all’As, Bi, Sb, Cd e Pb. I primi due elementi si caratterizzano per un marcato  carattere semimetallico, e sono presenti nei suoli in forma di complessi anionici. Il Sb, il Pb ed il Cd  hanno carattere metallico marcato, e sono presenti nella soluzione circolante dei suoli in forma di complessi cationici.

 

 

Figura F133-1. Il ciclo biogeochimico di riferimento (G.E.R.M.) proposto per unificare la modellistica bio-geochimica (*).

 

 

 


           

Figura 133-2. Correlazione tra costante di ripartizione dell’elemento tra l’acqua oceanica e il particellato oceanico (log Ky) ed il tempo di residenza nell’oceano (ty) (Whitfield M, 1981).

 



Figura 133-3. Distribuzione degli elementi nel pacifico settentrionale.

 

 


1.3.3.1. Arsenico  (As).

            La determinazione dell’As presente in matrici complesse quali rocce suoli e sedimenti è problematica, e le misure effettuate su suoli e rocce standard con metodi differenti concordano a meno di una deviazione standard del 51% (n=5) Pirite (Buaur W.H. e Onishi H., 1972. Nonostante le incertezze analitiche insite nella ardua determinazione dell’As in matrici complesse Buaur W.H. e Onishi H. (1972) compendiano una ricca raccolta di dati petrografici e cristallochimici  che permette di tratteggiare il ciclo petrogenico dell’As a seguito riassunto.

            La concentrazione media dell’As è di 3 mg/Kg nelle rocce ultrafemiche e di 2 mg/Kg nelle rocce basiche ed ignee, mentre raggiunge concentrazioni medie di 487 mg/l nell’acqua di condensazione delle emissioni fumaroliche (Buaur W.H. e Onishi H., 1972). In corrispondenza delle sorgenti idrotermali delle dorsali medio-oceaniche si osserva la precipitazione di solfuri ricchi in As (Andrews J.E., et al., 1996). Nelle peridotiti che compongono il mantello l’As è contenuto nella magnetite (2,7-41 mg/Kg), nei pirosseni (0,5 mg/Kg), nel plagioclasio (0.14 mg/Kg), nelle Olivine (0,11 mg/Kg) (Buaur W.H. e Onishi H., 1972). In queste rocce, come indicano le regole cristallografiche del Pauling (Faure G., 1992), l’As+3 vicaria l’Al+3 il Fe+3 e il Ti+4. La sostituzione isomorfa dell’Al+3 del Fe+3 e del Ti+4 con l’As+3, a causa dell’elevato raggio ionico dell’As+3, comporta una distorsione dei reticoli cristallini in cui l'As è ospitato e non è quindi favorita. Nel corso della fusione parziale del mantello l’As è quindi espulso dai reticoli cristallini dei minerali primari della peridotite ed è concentrato nella fase fluida. Nel corso della cristallizzazione frazionata del magma basaltico l’As non è efficacemente rimosso dalla precipitazione della Pirite, non essendo questa presente in quantità sufficienti a legare tutto l’As presente nel magma. Essendo l’As+3 uno ione vicariante l’Al+3 il  Fe+3 e il Ti+4 esso non è concentrato nei magmi basici più che in quelli acidi. La cristallizzazione dei minerali di Fe, Al e Ti non rimuove completamente l'As dal fuso silicatico. L’As  pertanto, si concentra nei fluidi ultracritici espulsi dalla cristallizzazione dei magmi granitici e nei fluidi idrotermali associati ai plutoni e all’attività vulcanica. L’As raggiunge nei fluidi idrotermali di alto grado espulsi dalla cristallizzazione frazionata del magma granitico concentrazioni sufficientemente elevate da precipitare l’Arsenopirite, il principale minerale dell’As, nei filoni tardivi dei corpi granitici e nell’aureola metamorfica ad essi associata (Mastrangelo F., Natale P. e Zucchetti S., 1983). E’ così relativamente frequente osservare negli gneiss che avvolgono i plutoni granitici tenori elevati di As. L’As può essere ospitato in tenori elevati nei solfuri di grado termale più basso, quali Galena, Niccolite, Sfalerite e Pirite. L’intervallo di concentrazioni dell’As che si può osservare  in questi solfuri idrotermali è di 50-1000 mg/Kg nella Sfalerite, di 80-1000 mg/Kg, nella Calcopirite, di 80-5000 mg/Kg di 80-20000 mg/Kg e nella Pirite (Buaur W.H. e Onishi H., 1972).Nelle rocce acide, come in quelle basiche, il contenuto di Solfuri ed Arseniati non è sufficiente a sequestrare tutto l’As presente nella roccia e notevoli quantità dell’As presente nel corpo roccioso sono occluse nei silicati primari Pirite (Buaur W.H. e Onishi H., 1972) .

            Nell’ambiente pedologico la solubilità dell’As liberato dall’alterazione dei minerali primari essere controllata dalla precipitazioni di fasi insolubili (figura F1331-1). In ambienti riducenti  la solubilità dell’As nei suoli è controllata dalla precipitazione dei solfuri, ed in un ristretto campo di valori di Eh, dall’ossido arsenioso As2O3. Nelle condizioni ossidanti le forme prevalenti nei suoli ben aerati sono l’acido arsenico ed arsenioso. L’acido arsenico ed arsenioso a pH superiori a due ed inferiori a 12 sono prevalentemente dissociati nelle forme anioniche H2AsO4-1 ed HAsO4-1. Nonostante l’elevata solubilità dell’As in ambiente ossidante la concentrazione dell’As nella soluzione circolante del suolo è solitamente bassa, 1*10^-2 mg/l (O’Neill, 1997).La concentrazione dell’arseniato e l’arsenito è ovviamente limitata dall’adsorbimento dal complesso di scambio anionico del suolo (Gessa C. e Testini C., 1989. Stumm W., and Morgan J.J., 1996. New Zeland Society of Soil Science, 1980), principalmente determinato  da ossidi ed idrossidi di Fe, Al e Mn nonché dalla sostanza organica, dal pH e dalla forza ionica della soluzione circolante (op. cit.). Gli  ioni arsenico ed arsenito si combinano  con le superfici degli ossidi di ferro attraverso complessi bidentati simili a quelli formati dallo ione fosforico HPO4-2 (O’Neill, 1996). Lo ione fosforico ha una costante di dissociazione simile a quella degli acidi arsenico ed arsinico e pertanto nel pedoambiente compete con l’As nell’adsorbimento sugli ossidi di Fe. Siccome lo ione fosforico ha  dimensioni inferiori a quelle dello ione arsenico ed arsinico, forma sulle superfici degli ossidi complessi bidentati più stabili. L’arsenato e l’arsenito adsorbiti sugli ossidi di ferro amorfi eccedono la capacità di scambio anionico del minerale (op. cit.), suggerendo che l’As diffonda all’interno dell’idrossido andando a vicariare il Fe+3 nel solido amorfo. L’adsorbimento dell’As sugli idrossidi di Al cristallini è ben descritto dall’isoterma di (op. cit.) e permette pertanto di escludere la possibilità che l’As migri all’interno di questi minerali cristallini. Studi condotti sui sospensioni di sedimento lacustri indicano che passando da un potenziale ossidativo di +500mV a -200mV  e da un pH di 4,0 ad un pH di 7,5 l’As solubile aumenta di 25 volte, in stretta relazione lineare (P<0,01) alla quantità di ferro solubilizzato. Siccome, nel processo di riduzione del sedimento non si ha produzione di composti metilati, l’esperienza prova che alla solubilizzazione degli ossidi di ferro si accompagna il rilascio dell’As adsorbito (op. cit.).

            L’acido arsenico ed arsenioso è metabolizzato da funghi e batteri con produzioni di composti metilati volatili e tossici quali l’acido monometilarsonico CH3AsO(OH)2, l’acido dimetilarsinico (CH3)2AsO(OH), l’ossido trimetilarsenico (CH3)3AsO e la trimetilarsina (CH3)2AsH. Le specie metilate prodotte dipendono dalle popolazioni  fungine e batteriche (op. cit). Il contenuto di As estraibile in acido fluoridrico attraverso il profilo dei suoli Russi è stato studiato da Vinogradov A.P. (1959). La concentrazione dell’As è risultata compresa nell’intervallo 1 e 10 mg/Kg, con una media di

 

Figura F1331-1. Diagramma Eh-pH del sistema As-S-O-H.

(Tratto da Brookis D.G., 1987).

 


3,6 mg/Kg, valori poco diversi dal valore di 5mg/Kg, risultato della media di 500 suoli raccolti da Vinogradov A.P. (1959) in località provenienti da tutto il mondo. I dati raccolti da Vinogradov A.P. (1959) nella prima metà del secolo indicano che la concentrazione dell’As nel profilo del suolo è principalmente determinata dall’accumulo di  sostanza organica e dalla precipitazione degli ossidi di ferro, e che il fattore di arricchimento dell’As nel suolo rispetto alla roccia madre medio nella prima metà del secolo era compreso tra 2,4 e 3,3. I dati raccolti da Schacklette H.T. e Boergen J.B. (1984) indicano che la concentrazione dell’As nel suolo Nord Americano è di 7,2 mg/Kg e il fattore di arricchimento dell’As nel suolo risulta così circa il doppio rispetto a quello misurato da Vinodograv A.P. (1959) nella prima metà del secolo. O’Neill (1997) riporta risultati di recenti rilevi sulla concentrazione di As nei suoli di diversi paesi. La media geometrica della concentrazione dell’As è di 6.7 mg/Kg in Alaska (1988), 40 mg/Kg nel Regno Unito Meridionale (1984), 9,2 mg/Kg in Cina (1991), 2,63 mg/Kg in Polonia (1992), valori per lo più sensibilmente superiori da quelli stimati da Vinogradov (1959).

            La biodisponibilità dell’As dipende dalle forme che esso assume nel suolo, ed è maggiore per le specie presenti in soluzione. La frazione di As legata alla sostanza organica è ovviamente facilmente assimilata dai vegetali. Come per il P, la biodisponibilità dell’As è controllata dagli ossidi di ferro (Tamaki S. and Frankenberg W.T. Jr., 1992). Essendo come noto i suoli agrari frequentemente sovrassaturati in P, un efficiente competitore dell’As nell’adsorbimento sugli ossidi di Fe, è ragionevole ritenere che la  capacità tampone del suolo nei confronti dell’As sia superata in vaste aree agricole con rischi di rilascio dell’elemento nella catena alimentare e nella falda idrica. Secondo le stime di Baes C. F. et al. (1984) la concentrazione dell’As antropico negli organi vegetativi delle piante si può in prima approssimazione stimare come  il 4% dell’As presente nel suolo mentre quella degli organi quiescenti è del 0,6%. Per i suoli Nord Americani, dove il contenuto di As è mediamente di 7,2 mg/Kg, (Shacklette H.T. and Boerngen J.B., 1984) il contenuto nella biomassa vegetale si può stimare di 0,3 mg/Kg. Alla quota assimilata attraverso l’attività radicale, come osservano  Sheppard S.C. et al. (1992) la concentrazione dell’As nella biomassa vegetale andrebbe integrata dalla quota determinata dalla deposizione atmosferica sulle piante e dall’assimilazione fogliare, ma, come osservano gli autori, poco è noto sull’assimilazione fogliare degli elementi di transizione in traccia. La quantità di As pedologico inalata può essere stimata se si considera che in media la concentrazione di un elemento nei primi metri a livello del suolo è circa 10^-6 volte la concentrazione dell’elemento nel suolo (Facchinelli et al., 1997). La quantità di As pedologico inalata quotidianamente dalla popolazione Nord Americana può essere stimata quindi in ragione di 0,05 mg/g.

            Come indicano Sheppard S.C. et al. (1992) l’ingestione volontaria od involontaria di suolo è una voce importante nel determinare la quantità di elemento in traccia assimilato giornalmente dalla popolazione. Il suolo ingerito accidentalmente dalla popolazione è principalmente costituito dalla frazione argillosa e la quantità ingerita è fortemente correlata all’età (tabella T1331-1). I minerali del suolo hanno scarso effetto nel limitare l’assimilazione dei metalli pesanti (Sheppard S.C., et al.,  1994). La quota di As legata al suolo assimilata accidentalmente dalla popolazione dipende quindi criticamente dal contenuto di argilla del suolo, dove l’As, come molti inquinanti, tende a concentrarsi.

            La concentrazione dell’As nelle acque dolci continentali è compresa nell’intervallo tra 1*10^-3 e 1*10^-2 mg/Kg e mediamente ha il valore di 2*10^-3 mg/Kg (Tamaki S. and Frankenberg Jr, 1992). Negli  ambienti ossidanti tipici delle acque superficiali e delle falde idriche l’As è presente in forme anioniche solubili (figura F1331-1). Le specie prevalenti, in funzione del pH e del Eh, sono H3AsO40, H2AsO4-1, HAsO4-1 ed AsO4-1. La solubilità dell’As nelle acque dolci continentali ben ossigenate è pertanto presumibilmente controllata dalla complesso di scambio anionico e dalla concentrazione delle specie anioniche  che competono nell’adsorbimento, le cui principali sono PO4-3, SO4-2, CO3-2  (Schnor  J.L., 1996. Stumm W. e Morgan J.J., 1996). Nelle acque oceaniche la concentrazione media dell’As è compresa tra 1,5*10^-3 e 5*10^-3 mg/l ed ha il valore medio di 1,7*10^-3 mg/l (Tamaki S. and Frankenberg W.T. Jr., 1992). La distribuzione della concentrazione dell’As attraverso la colonna d’acqua dell’oceano Pacifico Settentrionale (Nozaky I., 1996) è costante, indicando secondo principi generali dell’oceanografia (Andrews J.E. et al., 1996. Salomon W., and Förstner 1984) che la concentrazione dell’As nell’oceano non è controllata dall’accumulo nel plancton o dalla sedimentazione del particellato oceanico. Nelle rocce sedimentarie la concentrazione dell’As è in ordine decrescente di 15 mg/Kg nel carbone, 10 mg/Kg nelle Argilliti di piattaforma continentale, 1,7 mg/Kg nei carbonati e 13 mg/Kg nelle argille di piana abissale. Nei sedimenti delle piane oceaniche abissali, come è stato evidenziato dall’analisi della varianza (Yuan-Hui Li, 1982) e confermato dall’elevato coefficiente di ripartizione tra solido e liquido dell’As osservato nella cristallizzazione dell’idrossido di ferro  a pH 9 (Plotnikow V. I. and Usatova L. P., 1964), l’As è principalmente occluso nelle concrezioni di ossidi ed idrossidi di ferro. La distribuzione dell’As nelle principali rocce sedimentarie suggerisce che il principale meccanismo di rimozione dell’As dalle acque oceaniche sia il seppellimento della sostanza organica e l’occlusione dell’As+3 nei reticoli cristallini degli ossidi di ferro. Dal rapporto della concentrazione dell’As nell’acqua marina e nella crosta continentale il tempo di residenza dell’As nell’oceano può essere stimato in ragione di 10^4 anni (Withfield M., 1975).

            Le conoscenze sulla tossicità dell’As sono state riassunte da Tamaki S. and Frankenberg W.T. Jr., (1992). La tossicità dell’As dipende dalla sua forma chimica dell’elemento. L’acido arsenico  interagisce con il metabolismo cellulare inibendo la formazione di ATP. L’acido arsenico può inoltre sostituire lo ione fosforico nei fosfoglucidi. L’acido arsinico forma legami stabili con i gruppi reattivi degli enzimi della pelle e dei reni, denaturandoli. L’acido arsinico è più tossico dell’acido arsenico, ed ha un tempo di residenza negli animali maggiore dell’acido arsinico. La dose letale media sui ratti del

 

Tabella T1331-1. Ingestione volontaria ed involontaria di suolo.

(Elaborato da Sheppard S.C. et al., 1992).

 



Figura F1331-2. Ciclo biogeochimico dell’As, dati in 10^
8 g.

            (Tratto da Mackenzie et al., 1979).

 


potassio arsenito di 14 mg/Kg e del calcio arsenato di 20 mg/Kg. I composti metilati sono sensibilmente meno tossici. La dose letale media dell’acido dimetilarsinico è di 700-2600 mg/Kg, quella dell’acido metanarsonico è di 700-1800 mg/Kg. L’As è un composto cancerogeno associato ai tumori della pelle.

            Le fonti primarie di As sono i giacimenti di Calcopirite e Galena e l’As è un sottoprodotto della raffinazione di Pb e Cu (Alloway D.C., 1986). La forma commerciale grezza dell’As è il triossido arsinico. La produzione mondiale annua di triossido arsinico è stata negli anni ‘70 di circa 47.000 tonnellate. Negli stati Uniti negli stessi anni l’80% dell’As è stato impiegato come defoliante e insetticida a fini  agricoli, e l’8% nell’industria ceramica, il rimanente nella concia del cotone (op. cit.). Le principali fonti di inquinamento del suolo dell’As sono quindi lo spargimento dei presidi fitosanitari e le emissioni in atmosfera delle fonderie. Le emissioni in atmosfera di origine antropica sono infatti di 78000 t contro 24000 t di emissioni naturali (Salomons W., Forstner U., 1984). Il ciclo biogeochimico dell’As risulta così fortemente perturbato dalle attività antropiche (figura F1331-2).

 

1.3.3.2. Bismuto  (Bi).

            La tecniche  analitiche disponibili per la determinazione  del contenuto di Bi nelle matrici complesse quali sono le rocce e i sedimenti, nonostante le ricerche  condotte da numerosi chimici analitici (Morrow A., et al. 1997. Whedepol K.H., 1969) sono affette da errori metodologici del superiori al 50%.  A causa delle difficoltà poste dalla determinazione della concentrazione del Bi, che richiede attrezzature costose e procedure di analisi complesse, si dispongono di poche ed imprecise misure sulla concentrazione del Bi nelle principali matrici ambientali. Kupcik V. et al.(1978) compendiano un numero numeroso di indagini petrografiche, geochimiche  e cristallochimiche sul Bi dalle quali è possibile tratteggiare il ciclo petrogenico a seguito riassunto.

            La concentrazione del Bi ha un massimo relativo nelle rocce ultrabasiche (0,62 mg/Kg), un valore minimo in corrispondenza delle rocce basiche (0,19 mg/Kg) ed un valore massimo nelle rocce acide (1,4 mg/Kg) (tabella T131-2). La distribuzione del Bi in funzione del contenuto di silice delle rocce permette di concludere (Negretti G., Di Sabatino B., 1983) che nella fusione parziale delle peridotiti del mantello che genera il magma basaltico il Bi si concentra nel fuso parziale, che di norma costituisce il 2-3% della roccia. Nelle rocce basiche frutto della fusione parziale del mantello il Bi è ospitato nella Pirite, che ha un contenuto medio in Bi di 2 mg/Kg (tabelle T1332-1 e T1332-2), ed nei principali minerali silicatici, dove vicaria il Ca (tabella T1332-4). Nel corso della evoluzione del magma basico il Bi non è efficientemente rimosso dalla cristallizzazione dei Ca-Feldsapati dei Pirosseni, degli Anfiboli e della Pirite, concentrandosi nel fuso silicatico acido. Le concentrazioni massime di Bi vengono così raggiunte nelle rocce acide, nei graniti ed in particolare  nei filoni

 

Tabella T1332-1. Il contenuto di Bi (mg/Kg) nei solfuri.


(Elaborato da Kupcik V. et al., 1978).


Tabella T1332-2. Distribuzione di frequenza del Bi (mg/Kg) nei solfuri.


(Elaborato da Kupcik V. et al., 1978).

 


 

Tabella T1332-3. La concentrazione del Bi (mg/Kg) nei minerali delle terre rare. (Elaborato da Kupcik V. et al., 1978).

 

 



Tabella T1332-4. La concentrazione del Bi (mg/Kg) nei minerali silicatici. (Elaborato da Kupcik V. et al., 1978).

 



Figura F1332-1. Diagramma Eh-pH del sistema Bi-O-H-S.

            (Tratto da Brookis D.G., 1988).

 


pegmatitici, dove il Bi vicaria il Ca nei feldspati potassici, nelle Apatiti e l’Y nei minerali delle terre rare (tabella T1332-3). Nonostante il Bi abbia un potenziale ionico simile al Ca e lo vicari nei minerali silicatici, nelle serie petromagmatiche non si osserva comunque alcuna correlazione tra la concentrazione del Ca e quella del Bi. Il Bi è invece fortemente  correlato a quello dell’Y, un elemento delle terre rare (Kupcik V. et al., 1978). Il Bi ha concentrazioni elevate nei solfuri idrotermali, in particolare nella Galena (1041 mg/Kg), nella Calcopirite (11mg/Kg), nella Sfalerite (5 mg/Kg) e nella Pirite (2 mg/Kg) (tabella T1331-2). Il principale solfuro di Bi, la Bismutina Bi2S3 è un minerale relativamente raro, e cristallizza ad un grado idrotermale inferiore a quello caratteristico dei summenzionati solfuri.

            Non si dispongono di misure sulla concentrazione del Bi nelle acque dolci superficiali (Salomons W. and Forstner U., 1984. Faure G., 1992. Schnoor J., 1996. Wedepohl K.H., 1969). I dati termodinamici disponibili (figura F1332-1) indicano che nelle condizioni di Eh-pH caratteristiche delle acque superficiali e delle falde idriche la solubilità del Bi è controllata dalla precipitazione dell’ossido Bi2O3 a pH superiore a 6. A pH inferiori il Bi è solubile e la specie prevalente è il Bi6O6+6. Nelle acque oceaniche il Bi ha una concentrazione compresa tra 0,015 e 0,20 g/l, con un valore medio di 0,026+/-37% g/l (Kupcik V. et al., 1978). Le forme chimiche che il Bi assume nell’acqua marina sono BiCl-2, BiOCl+0, BiO+1 (Goldberg E.D., 1965). Attraverso la colonna d’acqua del Pacifico Settentrionale la concentrazione del Bi ha  un minimo relativo nei primi 200 m ricchi di vita planctonica, un massimo a cuspide in corrispondenza del limite tra lo strato oceanico superficiale caldo, ossigenato, illuminato, e un decremento esponenziale attraverso lo strato oceanico sottostante freddo, ricco di elementi nutritivi e povero di vita (Yuan-Hui Li, 1982). La distribuzione del Bi attraverso la colonna d’acqua oceanica indica secondo i principi generali dell’oceanografia (Salomon W., and Förstner U., 1984. Andrew J.E., et al., 1996) che questo elemento si comporta come fattore limitante della crescita planctonica nello strato oceanico superficiale, ma che una volta raggiunto il sottostante strato oceanico privo di vita è rapidamente rimesso in soluzione dalla degradazione delle spoglie organiche, adsorbito sul particellato  e sedimentato sulle piane abissali. Dal rapporto tra la concentrazione del Bi nella crosta continentale e nell’acqua il tempo di residenza del Bi nell’oceano, a meno della perturbazione antropica degli equilibri naturali, può essere stimato dell’ordine di grandezza di 10^3 anni (Whitfield M., and Turner D.R., 1982. Whitfield M., 1981). Secondo stime più precise (Goldberg E.D., 1965) il tempo di residenza del Bi nell’oceano sarebbe di 45000 anni.

            La concentrazione del Bi nelle Argilliti di piattaforma continentale è di circa 1 mg/Kg, un valore di poco superiore a quello della concentrazione media della crosta terrestre, 1,4 mg/Kg. La concentrazione del Bi raggiunge valori nettamente superiori a quelli della crosta terrestre, 2,1 mg/Kg, nelle Argilliti di piana abissale. In questi sedimenti il Bi risulta prevalentemente associato con l’Y presente nei minerali delle terre rare presenti nei noduli di manganese (Yuan-Hui Li, 1982). Tra le concentrazioni massime di Bi si misurano nel carbone e nell'antracite (5,5 mg/Kg), indicando un forte accumulo di questo elemento nella biomassa vegetale dei continenti. Non si dispongono di analisi sul contenuto di Bi nelle rocce carbonatiche (Heinrichs H., Sculz-Dobrick and Wedepohl K.H., 1980. Faure G., 1992. Whedepol K.H., 1969). I dati disponibili sulla distribuzione del Bi nelle rocce sedimentarie indicano che questo elemento è rimosso dall'oceano principalmente dal seppellimento della sostanza organica e dall'intrappolamento nei minerali delle terre rare.

            Nelle rocce metamorfiche (tabella T1331-6) la concentrazione del Bi è massima nelle rocce di basso grado metamorfico (Scisti e Filladi) ed è minima nelle rocce metamorfiche di alto grado (gneiss). Nell'alea dei pochi dati disponibili si può concludere che il processo metamorfico ha come effetto la mobilizzazione del Bi. Va osservato che nelle rocce metamorfiche di basso grado il contenuto di Bi aumenta con quello della sostanza organica in perfetto accordo con quanto osservato nelle rocce sedimentarie.

            Il Bi  può essere presente allo stato metallico in natura solo a pH superiori a 8 ed  in ambienti fortemente riducenti eccezionalmente rari  nella crosta  terrestre (figura F1332-1). In ambiente anossico la sua concentrazione in soluzione è controllata dalla Bismutina Bi2S3, mentre in condizioni ossidanti è limitata dalla precipitazione dell’ossido Bi2O3 a pH superiori a 6. A pH inferiori a 6 la concentrazione del Bi supera le 10^-6 M e non è controllata dalla precipitazioni di minerali insolubili. A pH superiore a 6 la specie chimica prevalente è il Bi6O6+6. Non si conoscono le costanti di stabilità del Bi con i principali ligandi presenti nelle soluzioni circolanti nei suoli o con i principali componenti della sostanza organica così come non si dispongono di informazioni  sui meccanismi con cui il Bi è adsorbito dai principali costituenti del suolo (Bolth G. H., 1979. Callahan M. et al., 1979. Yatsimirskii K. B. and Vasil’Ov V.P., 1960. Schwarzen G. and Sillen G. L., 1958). Alloway B.J. (1995), Adriano D.C. (1986), Itamar et. al (1988) ed Alloway B.J. (1997) non riportano informazioni raccolte da indagini condotte sul comportamento del Bi nel suolo. Negli ultimi 10 anni non sono state pubblicate ricerche sul comportamento del Bi nei suoli sulle principali riviste di scienza del suolo: Soil Science Society of America Journal, Canadian Journal of Soil Science e Soil Science. Al riguardo del comportamento del Bi nel suolo si possono avanzare solo ipotesi. Avendo il Bi un potenziale ionico simile al Ca esso potrebbe essere adsorbito in forma idrata nell’interstrato dei minerali argillosi. Secondo le regole cristallochimiche del Pauling, il Bi+3 potrebbe vicariare il Mn nei relativi ossidi. La

struttura elettronica esterna del Bi+3, uguale quella del Pb+2, suggerisce che il Bi possa formare complessi organo-metallici molto stabili. La forte somiglianza tra il comportamento geochimico del  Bi con quello delle terre rare, in particolare a quello dell’Y (Kupcik V. et al.,1978), suggerisce che il Bi è rapidamente allontanato dal suolo dai processi pedogenetici.

 

 

Tabella T1332-5. La concentrazione del Bi (mg/Kg) nelle rocce sedimentarie.

(Elaborato da Kupcik V. et al., 1978).

 



Tabella T1331-6. Concentrazione del Bi (mg/Kg) nelle rocce metamorfiche.

(Elaborato da Kupcik V. et al., 1978).

 



Tabella T1331-7. Stima della concentrazione del Bi (mg/Kg) nella crosta terrestre.

(Elaborato da Kupcik V. et al., 1978).

 



            Poche sono le ricerche condotte sulla biodisponibilità del Bi. Adriano D.C. (1989), Alloway B.J. (1995), Coughtrey P.J. et al. (1985), Salomon W. e Förstenr U. (1984) non riportano i risultati di indagini condotte sulla biodisponibilità del Bi. Baes C. F. et al. (1984) compendiano le ricerche condotte sulla biodisponibilità del Bi condotte nel corso delle ricerche sul radioinquinamento. La concentrazione nella biomassa vegetale del Bi immesso artificialmente nel suolo in forme solubili risulta linearmente correlato alla concentrazione dell'elemento nel suolo. Negli organi vegetativi la concentrazione del Bi è mediamente il 3,5% della concentrazione del Bi nel suolo mentre negli organi quiescenti è solo il 0,6% della concentrazione nel suolo. Nel computo della concentrazione nella biomassa vegetale del Bi, come osservano Sheppard S.C. et al. 1992 andrebbe considerata la quota di Bi assimilata dalle piogge e dal particellato atmosferico su esso deposto.

            Non si dispongono di dati sulla tossicità del Bi (Adriano D.C., 1989. Alloway B.J. 1995. Coughtrey P.J. et al., 1985. Salomon W. e Förstenr U., 1984). Nel corso degli ultimi dieci anni le riviste “Environmental Geochemistry and Health” e “Rewiew of Environmental Contamination and Toxicology” non hanno pubblicato ricerche sulla tossicità del Bi. Secondo i criteri proposti da Stumm W. e Morgan J.J., (1996) per valutare la tossicità degli elementi, il Bi dovrebbe essere un elemento potenzialmente tossico sia in quanto capace  di formare stabili complessi con i radicali carbossilici dei

composti organici sia in quanto i potenziali di ionizzazione del Bi  rientrano nell’intervallo proprio delle reazioni di interesse biochimico. Il Bi non rientra nella lista degli 126 inquinanti a cui l’USEPA da la priorità (Shnorr J. L., 1996).

I minerali del Bi, il cui più diffuso è la Bismutina, sono rari,  ed il Bi  è estratto principalmente dalla Galena e dalla Calcopirite. Concentrazioni elevate di Bi si trovano anche nei  solfuri ed negli Arsenati da cui sono estratti Pb, Cu, Au, Ag e Zn nonché nelle Apatiti. (Wedepohl, 1969). Il Bi è impiegato nella produzione di leghe facilmente fusibili e, in piccole quantità, per indurire i profilati di Pb (Sienko M.J. and Plane R.A., 1980). E’ ragionevole ritenere i suoli possano contenere apprezzabili quantità di Bi provenienti dai fumi emessi dalle fonderie di Pb e Zn e dai fosfati minerali impiegati come fertilizzanti come rilevato per Zn, Cd, Pb ed  As (Alloway B.J., 1992., 1984. Adriano D.C., 1986.).

 

1.3.3.3. Antimonio (Sb).

            Come per As e Bi, le tecniche analitiche non permettono di determinare la concentrazione del Sb con grande accuratezza (Morrow A., et al. 1997. Whedepol K.H., 1969). Il contenuto medio del Sb nelle rocce ignee ultrabasiche, basiche ed acide (tabella T131-2) è di 0,1, 0,6, e 0,2 mg/Kg. Nel corso della fusione parziale delle rocce peridotitiche del  mantello esso tende a concentrarsi nel fuso basaltico. Nel corso della cristallizzazione frazionata del magma basaltico esso viene rimosso dalla cristallizzazione dei solfuri, così le che rocce acide  hanno una concentrazione di Sb mediamente tre volte inferiore a quella dei basalti. Il Sb che non è rimosso dalla cristallizzazione dei solfuri del magma basaltico può essere ospitato come elemento in traccia nei minerali delle rocce acide, nelle Apatiti o nella Pirite (Wedepohl K. H., 1969). Il Sb vicaria con difficoltà gli elementi maggiori dei minerali delle rocce acide, e nel corso della cristallizzazione frazionata dei plutoni acidi si concentra nei fluidi residuali. Le concentrazioni più elevate di Sb si rinvengono infatti nelle vene idrotermali ad Arsenati o Galena e Calcopirite. I principali minerali del Sb sono l’antimonio nativo Sb, la Stimbnite (Sb2S3), la Kermesite (Sb2S2O), la Senarmonite (Sb2O3), la Jamesonite (2PbS*Sb2O3) e la Boulangerite (5PbS*2Sb2S3) (Wedepohl, 1969). Si dispongono di pochi dati sulla concentrazione del Sb nelle rocce sedimentarie (T131-2), dalle quali risulta che le concentrazioni maggiori di Bi si raggiungono nelle Argilliti di piattaforma continentale. Indagini condotte sulle argille e noduli ferro-manganesiferi delle piane abissali indicano che il Sb, una volta sedimentato sul fondo oceanico, si concentra nelle concrezioni di ossidi di Fe (Yuan-Hui Li, 1982). La concentrazione media del Sb nella crosta continentale è di 0,2 mg/Kg (Shacklette H.T. and Boerngen J.B., 1984. Bowen H. J.. M., 1979).

            La concentrazione media del Sb nelle acque continentali dolci è mediamente di 7*10^-5 mg/l mentre nelle acque marine è di 1,5*10^-4  mg/Kg (Faure G., 1992). L’elevato rapporto tra la concentrazione del Sb nelle acque oceaniche e nelle acque dolci superficiali indica che il Sb ha un lungo tempo di residenza nelle acque marine, stimabile in ragione di 10^310^4 anni (Salomons W. and Forstner U., 1984). La concentrazione del  Sb attraverso il profilo della colonna d’acqua oceanica (Nozaki Y., 1996) presenta un minimo nei primi 100 m, indice che negli strati superficiali dell’oceano, ricchi di biomassa planctonica, è fortemente bioaccumulato. La concentrazione del Sb attraverso gli strati più profondi si mantiene costante indicando che questo elemento non è efficacemente rimosso dalle acque marine a causa della sedimentazione del particellato sul fondo oceanico o dalla precipitazione di fasi insolubili.

            In dipendenza delle condizioni di Eh-pH il Sb può assumere gli stati di ossidazione +3 o +5 (figura F1333-1). La sua solubilità del Sb è controllata dalla precipitazione dei solfuri in ambiente riducenti ed è controllata da ossidi ed idrossidi in ambienti ossidanti. Il Sb può raggiungere concentrazioni in soluzione superiori a 10^-6 M solo a valori di pH inferiori a 2 o superiori a 11 in un ristretto intervallo di potenziali ossidativi alquanto rari nei suoli. Poco si sa sulle forme chimiche che lo Sb può assumere in soluzione (Baes C.F. Jr, and Mesmer R.E., 1976. Callahan M. et al., 1979). I dati disponibili (Bodec I. et al., 1989) indicano nelle soluzioni le specie prevalenti del Sb allo stato di ossidazione +3 sono lo Sb(OH)2+, Sb(OH)30 ed Sb(OH)4-, mentre quelle del stato di ossidazione +5 sono Sb(OH)50 ed Sb(OH)6. Non si conoscono le costanti di stabilità dei complessi che il Sb forma con i principali componenti della materia vivente e della sostanza organica del suolo (Yatsimirskii K. B.

 

 

Figura 1333-1. Diagramma Eh-pH del sistema Sb-S-O-H.

(Tratto da Brookis D.G., 1988).

 


and Vasil’Ov V.P., 1960. Schwarzen G. and Sillen G. L., 1958). Non sono note ricerche condotte sull’adsorbimento del Sb sui minerali del suolo o sulla sostanza organica, ne’ sembra essere stato indagato l’adsorbimento sul complesso di scambio del suolo e dei suoi componenti (Bolth G. H. Ed., 1979. Bodec I. et al., 1988). Secondo Callahan et al. (1979) l’Sb può essere adsorbito sulle argille, coprecipitare ed essere occluso nei sesquiossidi ma avrebbe scarsa reattività con i composti umici. Adriano D.C. (1986) osserva che avendo l’Sb proprietà chimiche e fisiche simili a quelle del P e dell’As esso dovrebbe essere adsorbito dalle superfici degli ossidi Fe, Al e Mn. Infatti da indagini riportate da Adriano D.C. (1986) sulla forma del Sb  in sedimenti lacustri inquinati risulta che il 50% del  Sb e dell’As sono legati  agli ossidi di ferro. Come l’As e l’Hg (Tamaki S. and Frankenberger W.T. Jr, 1992. Bodec I. et al., 1988), l’Sb può essere soggetto a processi biochimici fungini e batterici che determinano la formazione di composti metilici quali Sb(CH3)3 volatili e tossici.

            Come riportato da Adriano D.C. (1986) l’Sb trova impiego nella produzione di vernici, ceramiche, vetri e leghe per la confezione di batterie, tubi e laminati. Le principali fonti del Bi sono i giacimenti di Calcopirite, Galena ed Arsenopirite. Elevate concentrazioni di Sb ed As si osservano in

prossimità di fonderie di Cu, Zn e Pb (Adriano D.C., 1986). L’entità del rilascio di Sb nell’ambiente di una fonderia sulla quale sono stati condotti studi di dettaglio (op. cit.) è  di 2010^3 Kg/a in atmosfera, e nelle acque superficiali di 210^3 Kg/a in forma solubile e di 1,510^6 Kg/a in forma

insolubile. Berthelsen B.O. et al (1995) segnalano che attraverso i suoli Norvegesi si osserva un gradiente negativo nella concentrazione nei suoli del Sb, Pb, Cu e Cd spostandosi dalle aree industriali settentrionali alle aree agricole meridionali. Nei suoli del Nord America si osserva un arricchimento del Sb nel suolo rispetto alla roccia madre di 3,3, che secondo Alloway B.J. (1990) è attribuibile alla deposizione da atmosfera del particellato prodotto dalle attività industriali.

            Adriano D.C. (1986) riporta che sono state condotte poche ricerche sulla assimilabilità del Sb. Bowen H.J.M. (1979) riporta che l’intervallo di concentrazioni del Sb osservato nei vegetali è compreso tra 1*10^-4 e 2*10^-1 mg/Kg. Secondo Baes et al. (1988) la concentrazione del Sb antropico  nella biomassa vegetale è efficacemente descritta da una relazione lineare, ovvero dal cosiddetto “fattore di trasferimento”, il rapporto tra la concentrazione dell’elemento estraibile per attacco acido dal suolo e la concentrazione nel vegetale. Il fattore di trasferimento del Sb antropico dal suolo ai

vegetali è mediamente del 20% per gli organi vegetativi e del 3,9% per gli organi quiescenti. Considerato che il contenuto medio del Sb nei suoli del Nord America è di 0,66 mg/Kg si può stimare che la concentrazione media del Sb nei foraggi Nordamericani sia di 0,02 mg/Kg. La concentrazione degli elementi di transizione in traccia presenti nei primi metri a livello di campagna è mediamente un  milionesimo della concentrazione dell’elemento nel suolo (Facchinelli et al., 1997), così che l’inalazione del Sb legato ai componenti del suolo può essere stimata in prima approssimazione mediamente di 0,08 mg/g. Il Sb presente nei suoli può essere assimilato dall’organismo umano attraverso l’ingestione volontaria od involontaria di suolo (Sheppard S.C. et al., 1992. Sheppard S.C. et al., 1994. Sheppard S.C., 1995. ). I soggetti geofagi, circa l’1% della popolazione infantile di età inferiore ai 7 anni, possono arrivare ad ingerire 1-5 g di suolo al giorno, ingerendo mediamente 6,6*10^-3  3,3*10^-2 mg/g di Sb. La quantità di suolo ingerita accidentalmente è compresa tra 10-100 mg/g di frazione prevalentemente argillosa. La quantità di Sb assimilata attraverso l’ingestione di suolo dipende così fortemente da quanto l’Sb è concentrato sulle frazione più fine del suolo.

Come osserva Adriano D.C. (1986) non si dispongono di studi sulla tossicità del Sb, osservazione che sembra confermata dalla mancata pubblicazione di informazioni sulla tossicità del Sb sulla prestigiosa rivista “Reviews of Environmental Contamination and Toxicology” edita dalla casa editrice Springer-Verlag. L’Sb è comunque uno dei 126 inquinanti  a cui l’USEPA conferisce la priorità di ricerca (Schnor J.L., 1996).

 

            1.3.3.4.         Piombo (Pb).

            Le tecniche disponibili per l’analisi del contenuto di Pb nelle matrici complesse come rocce sedimenti non presentano difficoltà analitiche (Alloway B.J. Ed., 1990), forniscono risultati precisi e possono essere effettuate con attrezzature poco costose, qual è lo spettrofotometro, disponibili presso la maggior parte dei laboratori chimici. Rispetto ad elementi quali As, Bi, Sb e la cui determinazione presenta difficoltà analitiche particolari, in letteratura  sono riportati i risultati di numerosissime ricerche condotte sul comportamento del Pb in una vasta gamma di matrici ambientali (Sahl K., Doe B.R. e Wedepohl K.H., 1978. Davies B.E., 1992. Bodek I., Lyman W. J., Reehl W. F., and Rosenblatt D.H., Eds., 1988. Adriano D.C., 1986. Salomons W., Förstner U., 1984). Sahl K., Doe B.R. e Wedepohl K.H. (1978) compendiano una ricchissima raccolta di dati chimici, cristallochimici e petrografici che permette di delineare il ciclo petrogenico del Pb a seguito riassunto.

            Il contenuto di Pb nelle rocce ultrabasiche, basiche ed acide è rispettivamente di 13, 6 e 18 mg/Kg. Questi dati indicano che il Pb, nel corso della fusione parziale del mantello che ha luogo in corrispondenza delle dorsali oceaniche, come tutti gli elementi aventi un basso potenziale ionico, è espulso dai reticoli cristallini dei minerali primari ed è concentrato nel fuso, di norma il 3-4% della massa rocciosa di partenza (Negretti G. e Di Sabatino B., 1983). Sahl K., Doe B.R. e Wedepohl K.H. (1978) non riportano analisi del contenuto di Pb nei minerali che compongono le peridotiti del mantello terrestre. Secondo le regole cristallochimiche del Pauling (Faure G., 1992) si può prevedere che il Pb vicari il K nei reticoli cristallini dei silicati primari. Infatti nelle serie petromagmatiche si osserva una

 

 

Tabella T1334-1. Concentrazione media del Pb (mg/Kg) nelle principali rocce.


(Tratto da Shan K., Doe B.R., e Wedepohl K.H., 1978).

 


 


Tabella T1334-2. Concentrazione del Pb (mg/Kg) nei principali minerali silicatici. (Tratto da Shan K., Doe B.R., e Wedepohl K.H., 1978).

 

 


 forte correlazione tra il contenuto di K e Pb delle rocce (Negretti G. e Di Sabatino B., 1983). Nelle peridotiti del mantello esso dovrebbe pertanto essere prevalentemente ospitato nel reticolo cristallino dei Feldspati, nei quali il Pb-Feldspato è parzialmente solubile (Bruno E., and Facchinelli A., 1972). Nel corso del processo di cristallizzazione frazionata del magma basaltico la cristallizzazione dei minerali femici aventi un elevato punto di fusione (Pirosseni, Anfiboli e Ca-Feldspati) è scarsamente efficiente nel rimuovere il Pb dal fuso silicatico (tabella T1334-1) che si arricchisce così in Pb. La cristallizzazione dei solfuri, principalmente della pirite, che ha luogo durante la consolidazione del magma basico, non è in grado di  rimuove il Pb dal fuso silicatico in quanto la solubilità della Galena nella Pirite a 700°C è solo del 0,1%. La concentrazione del Pb tende all’aumentare con il grado di evoluzione del magma (tabella T1334-1) ed è minima nei basalti e massima nelle rocce acide.

            La concentrazione del Pb nei Graniti, la roccia plutonica più comune nella crosta continentale superiore, è in media di 22 mg/Kg, e ha una distribuzione lognormale (figura F1334-1). La concentrazione del Pb nelle Rioliti è in media lievemente superiore a quella dei Graniti (26,9 mg/Kg) e ha una distribuzione di frequenza normale (F1334-2). Le Rioliti hanno lo stesso contenuto degli elementi maggiori proprio dei Graniti, ma a differenza di questi, hanno avuto modo di risalire attraverso la crosta terrestre e fino a giungere alla superficie terrestre e consolidare in ambiente sub-aereo (Negretti G. e Di Sabatino B., 1983). La differenza nel contenuto di Pb tra graniti e Rioliti indica che nel corso della risalita del leggero magma granitico attraverso la densa crosta terrestre le interazioni chimiche del magma acido con le rocce incassanti e la circolazione dei fluidi idrotermali associati al fenomeno igneo portano ad un arricchimento del Pb nel fuso silicatico. Nei graniti, i solfuri contengono mediamente lo solo lo 0,5% del Pb presente nella roccia. Gran parte del Pb presente nel granito è occluso nel K-Felspato, nella Biotite, nel Ca-Feldspato e nella Muscovite, in un rapporto che è mediamente di 4:3:2:1 (tabella T1334-2). Le concentrazioni maggiori di Pb si osservano nelle Pegmatiti, rocce generate dalla cristallizzazione di fluidi ultracritici espulsi dalla cristallizzazione del magma granitico. In queste rocce la concentrazione del Pb nel K-Felspato è in media di 271 mg/Kg è può raggiungere valori di 2900 mg/Kg (T1334-2). La concentrazione del Pb nei fluidi idrotermali raggiunge concentrazioni sufficientemente elevate per determinare la cristallizzazione della Galena (PbS), il principale minerale del Pb, nell’idrotermalismo di medio grado. Nella Galena sono di norma ospitate ingenti quantità di Shapbachite o Matildite (rispettivamente le forme e di AgBiS), minerale con il quale sopra ai 400°C la Galena ha una miscibilità allo stato solido completa. Nelle emissioni fumaroliche associate all’attività vulcanica l’emissione di Pb è controllata dal composto alogenato più volatile, il PbCl2.

            La concentrazione del Pb nelle acque piovane dell’emisfero australe riportata da Sahl K., Doe B.R. e Wedepohl K.H. (1978) è di 0,72+/-20% g/l. Le concentrazioni di Pb più basse  (0,162,6 g/l) si osservano in Groenlandia, in prossimità del Circolo Polare Artico,  mentre i valori più alti (6,229,2g/l) si osservano nel Michigan, un’area fortemente industrializzata. Sahl K., Doe B.R. e Wedepohl K.H. (1978) compendiano una raccolta di 6562 analisi del contenuto di Pb in campioni di acque dolci continentali provenienti da tutto il mondo, la cui concentrazione media è di 1,78 g/l. La concentrazioni del Pb nelle acque del Nord America risulta sensibilmente più alta, compresa tra 1 e 55 g/l e  con un valore medio di 2,51 g/l (n=1233). Sahl K., Doe B.R. e Wedepohl K.H. (1978) stimano la concentrazione del Pb nelle acque oceaniche incontaminate di 2*10-3 g/l. I valori di Pb osservati nelle acque superficiali prossime alle coste continentali sono assai superiori, compresi tra 0,08 e 0,36 g/l ed hanno un valore medio di 0,19 g/l. L’incremento della concentrazione del Pb nelle acque marine è rimasta registrata nell’esoscheletro dei coralli (Andrew J.E., et al., 1996). La concentrazione del Pb nell’esoscheletro dei coralli si mantiene su valori costanti di 10 nM di Pb per ogni M di Ca fino agli anni ‘30. Successivamente si osserva un aumento lineare di 0,6 nMPb/MCa all’anno fino agli anni ‘80, quando la concentrazione del Pb nell’esoscheletro dei coralli decresce a causa della rimozione del Pb dalle benzine americane.  Dall’analisi di dettaglio della distribuzione  del Pb attraverso la colonna d’acqua nel Pacifico Settentrionale (Nozaky Y., 1996) risulta che la concentrazione del Pb decresce esponenzialmente dalla superficie al fondo oceanico. Il Pb non presenta nello strato oceanico superficiale ricco di vita il minimo assoluto della concentrazione  caratteristica degli elementi che  limitano la crescita planctonica, bensì la tipica diminuzione esponenziale della concentrazione con la profondità che  è peculiare degli elementi rapidamente rimossi dalla sedimentazione del particellato oceanico (Salomon W., and Förstner U., 1984).

            Da alcune analisi riportate da Sahl K., Doe B.R. e Wedepohl K.H. (1978) (tabella T1334-3) si osserva che il Pb è fortemente accumulato nella biomassa marina. Gli organismi che raggiungono le concentrazioni maggiori appartengono al microplancton e al fitoplancton, con 29,5 e 18,3 mg/Kg. Per gli organismi marini si può stimare un fattore di arricchimento rispetto all’acqua  marina compreso tra 10+4 e 10+5.

            Il contenuto di Pb nelle più comuni rocce sedimentarie (T1334-1), Arenarie, carbonatiche ed Argilliti, è rispettivamente di 12,0, 9,0 e 20 mg/Kg. Il contenuto di Pb, raggiunge le concentrazioni massime nelle Argilliti nere ricche in sostanza organica (30 mg/Kg) e nelle Argilliti di piana abissale (80 mg/Kg), nei quali è principalmente associato agli ossidi di Fe (Yuan-Hui Li, 1982). E’ pertanto ragionevole ritenere che il principale meccanismo di rimozione del Pb dall’acqua oceanica sia la sedimentazione delle argille ed il seppellimento nei sedimenti della sostanza organica.

            Sahl K., Doe B.R. e Wedepohl K.H. (1978) riportano ricerche dalle quali risulta  che nel corso del processo metamorfico la concentrazione del Pb diminuisce all’aumentare del grado metamorfico,


 


Figura F1334-1. Distribuzione di frequenza del Pb (mg/Kg) nei Graniti. (Tratto da Shan K., Doe B.R., e Wedepohl K.H., 1978).

 


Figura F1334-2. Distribuzione di frequenza del Pb (mg/Kg) nelle Rioliti. (Tratto da Shan K., Doe B.R., e Wedepohl K.H., 1978).



 

            Figura F1334-3. Diagramma Eh-pH del sistema Pb-O-H-C-S.

(Tratto da Brookis D.G., 1988).

 


come è per altro evidente dai dati riportati nella tabella T1334-1. La mobilizzazione del Pb nel processo metamorfico sembra comunque fortemente controllata dalla presenza nei fluidi circolanti nelle rocce di  Cl, un anione che forma complessi stabili con il Pb e ne aumenta la solubilità. Infatti, come riportano gli autori, le rocce incassanti i giacimenti di Galena risultano fortemente impoverite in Pb e nelle inclusioni fluide associate alle mineralizzazioni si osservano elevate concentrazioni di Cl. La formazione dei giacimenti di Galena è così favorita in quegli ambienti geotettonici dove, come nell’Iglesiente (Cagliari), l’assetto geostrutturale comporta una ingente circolazione di acque marine attraverso le rocce crostali.

            In letteratura sono riportate numerose ricerche condotte sul contenuto di Pb nei suoli dei paesi dell’emisfero australe (Davies B.E., 1992. Adriano D.C., 1986, Andrew J.E. et al., 1996. Sposito G., 1989). Queste   indicano che la concentrazione di questo elemento è massima negli strati superficiali del suolo e diminuisce con la profondità. La concentrazione è massima negli orizzonti superficiali dei suoli argillosi o ricchi di sostanza organica. A seguito della rimozione del Pb dalle benzine Americane si osserva una progressiva diminuzione della concentrazione del Pb negli orizzonti superficiali dei suoli forestali determinata dalla lisciviazione verso la falda (Andrew J.E. et al., 1996).

            La solubilità del Pb nelle soluzioni circolanti dei suoli può essere controllata dalla precipitazione di fasi minerali insolubili, la cui precipitazione dipende dalle condizioni di Eh-pH  (figura F1334-3). I principali minerali che possono controllare la solubilità del Pb (Alloway B.J., 1992. Brookins D., G., 1987) sono gli idrossidi Pb(OH)2, l’Anglesite PbSO4, la Cerussite PbCO3, l’Idrocerussite Pb3(CO)3(OH)2,  il PbPO4 e la Galena  PbS. Nella figura F1334-3 è riportato il diagramma Eh-pH del sistema Pb-O-C-S, che pur trascurando l’importante ruolo della  precipitazione del fosfato di Pb nel rimuovere dalla soluzione circolante del suolo, fornisce una descrizione qualitativa soddisfacente del comportamento del Pb in condizioni di terreno, ed in buon accordo con i risultati di indagini condotte in campagna quali riportate da Davies B.E.  (1992). La concentrazione del Pb+2 supera le 10^-6 M solo a pH inferiori ad 1. In ambiente riducente la concentrazione del Pb è controllata dalla precipitazione dei solfuri. Nell’ambiente ossidante tipico delle falde e dei suoli ben ossigenati  la concentrazione del Pb può essere controllata a pH inferiori a 5 dall’Anglesite o, a pH superiori a 5, dalla Cerussite. Il Pb, come tutti gli elementi di transizione bivalenti forma complessi dotati di elevata stabilità con i gruppi lo ione Cl.

            La presenza di Cl nella soluzione circolante del suolo può così diminuire l’attività dello ione Pb+2 innalzandone la solubilità, come osservato per altri elementi di transizione bivalenti: Ni, Cu, e Cd (Doner H.E., 1978. Shas V. M., et al., 1979. ). Il Pb, come gli altri elementi di transizione  bi- e trivalenti può essere adsorbito sui minerali delle argille e sulla sostanza organica. L’adsorbimento dei metalli di transizione bivalenti sui suoli e sui suoi componenti chimici è solitamente ben descritto

 

 

Tabella T1334-3. Concentrazione del Pb (mg/Kg) negli organismi marini.

(Tratto da Shan K., Doe B.R., e Wedepohl K.H., 1978).

 

 



 

Tabella T1334-4. Parametri dell’adsorbimento dei metalli di transizione bivalenti sui principali componenti del suolo. (Elaborato da Bodek I. et al., 1988).


 

 


dall’isoterma di Langmuir (Schor J. L., 1996. Stumm W. and Morgan J.J., 1996. Sposito G., 1989). L’isoterma di Langmuir descrive l’adsorbimento nei semplici termini della costante di reazione del metallo con la superficie dell’adsorbente (KL) e della capacità di adsorbimento massima (A) di questa. Come è noto, i parametri della costante di adsorbimento di Langmuir dipendono dalle condizioni sperimentali in cui si effettuano le prove di adsorbimento e non sono estrapolabili con esattezza ad a condizioni sperimentali diverse per pH, forza ionica, composizione della soluzione elettrolitica. Solitamente le isoterme di Langmuir vengono determinate a pH compresi tra 4 e 5 e in presenza di una concentrazione di CaCl2 di 0,01 M/l, condizioni ritenute rappresentativa dei suoli di vaste aree geografiche.  Bodek I. et al. (1988) compendiano le isoterme di adsorbimento pubblicate in letteratura per i principali elementi di transizione in traccia (T1334-4). E’ evidente dalla costante di complessazione del Pb con i principali costituenti del suolo che all’adsorbimento del Pb possono partecipare le argille, gli ossidi di ferro di manganese e la sostanza organica. Particolare attenzione è stata dedicata il letteratura all’adsorbimento dei cationi a sulle argille.

            In letteratura è riportata una  vasta bibliografia sui siti di adsorbimento dei cationi sui minerali argillosi (Bolth G. H., Summer M. E. and Kamphorst A., 1963. Brouwer E., et al., 1983. Cremers A et al., 1988. Ewans D.W. et al., 1983. Francis C. W., and Brincley F.S., 1976. Grutter A., Von Gunten R., and Rossler E., 1986. Hill D.E., and Sawhney B.L., 1969. Klobe W.D., and Gast R.G., 1970. Komarneni S., 1978. Le Roux J., Rich C.I., 1969. Rich C.I., and Blak W.R., 1964. Sawhney B. L., 1965. Sawhney B.L., 1970. Sawhney B. L., 1972. Ziper C., Komarneni S., and Baker E.D., 1988). I minerali argillosi presentano tre principali siti di adsorbimento nei confronti dei metalli:

 

            1)  i siti planari delle superfici esterne dei cristalli o siti “p poco selettivi”;

2) i siti planari posti negli interstrati aperti a 14Å di Vermiculiti e Smectiti o siti “p moderatamente selettivi”;

3) i siti ubicati nelle zone a cuneo che fanno da transizione tra i domini cristallografici dove la distanza basale è aperta a 14 Å ed i domini illitici dove la distanza basale è chiusa a 10 Å, o siti “i-e altamente selettivi”.

 

            I siti planari “p” delle superfici esterne dei cristalli ed i siti “p” degli interstrati aperti a 14 Å sono poco selettivi nei confronti dei metalli di transizione bivalenti, ed il metallo ivi adsorbito può essere facilmente scambiato da un cationi idrati come il Ca o il Mg. I siti delle zone che fanno da transizione tra i domini dove il reticolo cristallino delle Illiti è inalterato e chiuso a 10 Å ed i domini cristallografici dove l’Illite è alterata in Vermiculite o Smectite possono formare con i cationi dotati di basso potenziale ionico e bassa energia di idratazione quali Rb, Cs, K, Pb e Cd legami molto forti, le cui energie aumentano con la carica superficiale del minerale argilloso e sono nell’ordine di grandezza dei legami ionici (Brouwer E., et al. 1983). I siti altamente selettivi rappresentano di norma una piccola frazione della capacità di scambio cationico delle argille, variabile con il loro grado di alterazione in minerali secondari, (Bolth G. H., Summer M. E. and Kamphorst A., 1963. Cremers A et al., 1988) e sono efficaci nel controllare la solubilità dell’elemento solo quando questo è presente nel suolo in tracce (Bolth G.H. Ed., 1979).

            Davies B.E., (1992) Compendia una ricca raccolta dei risultati delle indagini dirette condotte sul comportamento del Pb in suoli contaminati. I risultati ottenuti indicano un comportamento del Pb fortemente differente in funzione del pedoambiente. Alcuni studi condotti sulle forme chimiche del Pb presente nella soluzione circolante del suolo provano che nei suoli carbonatici la sua concentrazione è controllata dalla solubilità della Cerussite  PbCO3 e dall’Idrocerussite Pb3(CO)3(OH)2. In suoli non carbonatici la solubilità del Pb è talvolta controllata dal Anglesite PbSO4, dall’adsorbimento sugli ossidi di manganese o  sulla sostanza organica. Gli studi condotti mediante frazionamento chimico delle forme in cui il Pb è presente nei suoli riportati da Davies B.E. (op. cit.) indicano che in alcuni suoli   la sostanza organica è il principale componente del suolo che fissa il Pb in forme non scambiabili, chelandolo attraverso i gruppi carbossilici degli acidi umici. In altri suoli la sostanza organica non ha un ruolo statisticamente significativo nel limitare  la quota del  Pb scambiabile, che è determinata principalmente dalla la capacità di scambio cationico. La composizione mineralogica del suolo, in particolare quella dei Fillosilicati sembra un fattore importante nel determinare l’influenza della tessitura sul comportamento del Pb e degli altri elementi di transizione con basso potenziale ionico. Nel suolo della Scozia, fortemente lisciviato, la solubilità del Pb risulta infatti inversamente correlata alla frazione argillosa fine, presumibilmente composte da Vermiculiti o Smectiti, minerali argillosi poveri di siti altamente selettivi nei confronti del Pb. La frazione tessiturale che fissa il Pb è quella limosa, presumibilmente composta da Illiti e Idromiche, ricche di siti di adsorbimento altamente selettivi. Dai risultati dei frazionamenti riportati da Davies B.E., (1992) risulta che gli ossidi di manganese risultano per lo più di scarso rilievo nel fissare il Pb.

            Il risultato è in disaccordo con gli studi sull’adsorbimento del Pb sugli ossidi di manganese e di ferro,  dai quali risulta che l’energia con cui il Pb è legato a questi composti minerali non è molto diversa da quella con cui è legato alla sostanza organica (Bodek I. et al., 1988). L’osservazione è inoltre in disaccordo con la forte correlazione osservata tra contenuto di Pb, Cd, Zn, Cu, Ni e Co dei sedimenti e il contenuto in ossidi di Fe e Mn dei sedimenti fluviali riportata da molti autori in (Nowland G. A., 1976. Carpenter et al., 1978. Gibbs R.J., 1977. Teraoka H. and Kobayashi J., 1980). La forte correlazione tra contenuto di elementi di transizione in traccia bivalenti e contenuti in ossidi di Fe e Mn induce a ritenere che i sesquiossidi siano le principali fasi che nel corso del processo pedogenetico occludono gli elementi liberati dall’alterazione dei reticoli cristallini dei minerali primari. E’ stato comunque osservato (Salomons W., Förstner U., 1984) che nei sedimenti fluviali la ripartizione degli elementi di transizione in traccia bivalenti nelle diverse forme è varia in funzione del bacino idrografico (F1334-4). E’ evidente dalla figura F1334-4 che i sedimenti fluviali provenienti da bacini idrografici fortemente industrializzati, riportati sulla sinistra della figura, si caratterizzano per trasportare elevate quantità di Mn e Fe ed una elevata percentuale  di elemento scambiabile, legato alla sostanza organica ed occluso nei sesquiossidi. I sedimenti fluviali provenienti da bacini scarsamente industrializzati, posti alla sinistra della figura, sono al contrario caratterizzati dal minori  quantità di Mn e Fe,  una percentuale trascurabile di elemento scambiabile e una percentuale preminente di elemento occluso nei minerali primari. E’ ragionevole ritenere che le diverse forme assunte dal e dagli

altri elementi di transizione in traccia bivalenti nei sedimenti fluviali riflettano le forme che gli  elementi hanno nei suoli dei rispettivi bacini idrografici sia le differenze dei processi erosivi in atto nei diversi bacini.

            Davies B.E., (1992) e Adriano D.C. (1986) compendiano una ricca raccolta di ricerche condotte sulla biodisponibilità del Pb presente nel suolo. Nell’intervallo di concentrazione del Pb comunemente osservato nei suoli si osserva una correlazione lineare tra la concentrazione dell’elemento nel suolo e quella nel vegetale. Secondo la rassegna critica sulla biodisponibililità degli inquinanti di Baes C.F et al. (1984) la concentrazione del Pb negli organi vegetativi e quiescenti delle piante è mediamente rispettivamente il 4,5% ed il 0,9% della concentrazione dell’elemento nel suolo. Considerando un contenuto medio del Pb nei suoli americani di 19 mg/Kg il contenuto medio di Pb nei foraggi può essere grossolanamente stimato di 0,85 mg/Kg. Il Pb raggiunge la sua massima concentrazione nelle radici dei vegetali ed è traslocato nella porzione apogea con difficoltà (Davies B.E., 1992). Quando nel suolo  raggiunge elevate concentrazioni, il Pb è immobilizzato dalla suberificazione dell’epidermide radicale. La capacità di assimilare il Pb e traslocarlo negli organi apogei varia da specie a specie e risente della fase vegetativa. Tra le proprietà del suolo che limitano l’assimilazione del Pb il pH non sembra avere grande rilievo, in quanto risulta essere  assimilato anche nei suoli carbonatici. Il principale fattore che sembra controllare la biodisponibilità del Pb è la presenza di cationi che competono nell’adsorbimento del metallo sulle argille.

            Come riporta Davies B.E., (1992) la deposizione di Pb al suolo è per il Nord America compresa tra 7.1 e 2050 mg·m2·a-1 , con una media di 424 mg·m2·a-1 mentre  per l’Europa compresa tra 8.7 e 53.6 mg·m2·a-1  con una media di 19 mg·m2·a-1. Nel computo della assimilazione del Pb nei vegetali non si può quindi, come osservano Sheppard S.C. et al. (1992), trascurare l’assorbimento fogliare. In un rilievo condotto sulla concentrazione del Pb nei vegetali della Norvegia Meridionale (Bertelsen B.O., et al. 1995), si osserva che la concentrazione del Pb in un’ampia gamma di specie e organi vegetali epigei (n=18) diminuisce dal 1982 al 1992 dl un valore medio di 9,3 +/- 172% al valore di 

 

Figura F1334-4. Forme del Fe, Mn, Zn, Cu, Ni, Pb e Cd nei sedimenti trasportati dai fiumi. (NH4Ac=solubile+scambiabile; NH2OH*HCl=occluso negli ossidi di manganese; H2O2/HCl=estraibile con attacco acido forte; resistant=estraibile in acido fluoridrico). (Tratto da Salomon W. e Förstner U., 1984).

 


4,6 +/-122%  mg/Kg. Negli stessi anni la deposizione del Pb diminuisce da 12,2+/-36%  a 3.9+/-29% mg·m2·a-1 (n=4). Nonostante la forte diminuzione di deposizione di Zn, Cd e Cu, per questi elementi non si osserva, come per il Pb, una significativa diminuzione della concentrazione nei tessuti vegetali epigei.

            Studi isotopici condotti sull’origine del Pb nel sangue umano (Lee Robert C., et al., 1995. Lewandosky T.A., and Forlsund B. L., 1994) indicano che questo può avere origini molto diverse. In aree poco contaminate la principale sorgente del Pb presente nel sangue è il consumo di derrate alimentari e l’ingestione di suolo. In aree fortemente contaminate, come in prossimità degli stabilimenti siderurgici, o gli ambienti urbani, la principale fonte  attraverso cui il Pb è assimilato è l’ingestione involontario del particellato argilloso su cui questo elemento è fortemente arricchito (Sheppard S. C., 1995.  Sheppard S.C., et al., 1992). Gli stessi studi, nell’alea del limitato numero di campioni considerati, indicano che circa l’1% della popolazione infantile delle comunità urbane di città occidentali raggiunge livelli di Pb ematico ai quali possono manifestarsi effetti neurotossici.

            Adriano D.C. (1986)  compendia una raccolta di studi sulla fitotossicità del Pb. Prove in coltura idroponica indicano che la sensibilità al Pb+2 varia con la specie. Il limite massimo di Pb tollerabile per lo sviluppo del vegetale è di 50 mg/l per il pomodoro, 25 mg/l per la bietola, 30mg/l per il pisello, corrispondenti per la bietola ad una concentrazione di 35 mg/Kg. Le concentrazioni di Pb nel suolo cui si  manifesta tossicità sui vegetali sono molto variabili in funzione del pedoambiente e dell’essenza: per il riso è stata segnalata fitotossicità per concentrazioni di Pb di 50-2000 mg/Kg su alcuni suoli e  400-500 mg/Kg su altri. Il Pb blocca la respirazione mitocondriale, altera il trasporto di elettroni nella fotosintesi, in altri termini, inibisce il metabolismo vegetale. Per il grano e la soia la fotosintesi diminuisce linearmente con la concentrazione di Pb nei tessuti. Quando il contenuto di Pb raggiunge nei tessuti del grano i 60 mg/Kg la perdita fotosintetica è del  20%, mentre per la soia è del 10%. Per la biomassa vegetale della Norvegia Settentrionale si può cautelativamente stimare quindi una diminuzione della fotosintesi compresa tra il 4 ed il 1,4%.

            Sull’organismo umano non si osservano effetti tossici per concentrazioni ematiche inferiori a 20g/100 ml (Lilia A.A., and Badillo F., 1991). Tra i 20 ed i 40 g/100ml si osserva anemia, mentre sopra tale soglia si osservano effetti neurotossici ed una correlazione negativa tra la concentrazione di sangue ematico e quoziente intellettivo. Elevati valori di sangue ematico si osservano in particolare nella popolazione infantile delle comunità siderurgiche, in prossimità di stabilimenti per lo smaltimento delle batterie esauste e in ambiente metropolitano. Lilia A.A., and Badillo F., (1991) segnalano che da un recente studio epidemiologico condotto nei quartieri popolari di Città del Messico il 30% dei bambini ha problemi di apprendimento. Solo il 17% del campione ha livelli ematici inferiori a 20g/100ml, il 23% ha livelli ematici compresi tra 21 e 39 g/100ml, mentre il 30% ha livelli ematici sopra i 60 g/100ml.

            La principale fonte mineraria da cui è estratto il Pb è la Galena. La produzione annua mondiale degli ultimi 30 anni  è stata di circa 32 milioni di tonnellate (Adriano D.C., 1986). Il 60% del Pb è impiegato nella industria automobilistica, come componente delle leghe e come additivo antidetonante delle benzine. Il rimanente 40% è impiegato nella produzione delle batterie. La maggiori sorgenti di inquinamento del suolo sono quindi le emissioni in atmosfera determinate dalle attività siderurgiche e dal traffico veicolare, stimate complessivamente in ragione di 400000 tonnellate/anno (Adriano D.C., 1986).

            1.3.3.5. Cadmio (Cd)

            Il Cd ha un potenziale ionico simile a quello del Pb e di conseguenza un comportamento simile nel ciclo petrogenico. La concentrazione del Cd cresce con il contenuto di silice delle rocce ignee, è minima per le rocce ultrafemiche (0,05 mg/Kg), massimo nelle rocce basiche (0,2 mg/Kg) e massimo nelle rocce acide (0,15 mg/Kg). In occorrenza delle dorsali medio-oceaniche in corrispondenza delle quali si ha la fusione parziale delle peridotiti del mantello, il Cd, dotato di basso potenziale ionico, si concentra nel fuso parziale della peridotite che da luogo al magma basaltico. La cristallizzazione dei minerali ricchi in Fe e Mg del magma basaltico, per lo più poveri di elementi a basso potenziale ionico,  non è efficiente nel rimuovere il Cd dal fuso, che raggiunge così le concentrazioni massime nelle rocce acide. Il Cd ha un potenziale ionico simile a quello del K, ed è pertanto seguendo i principi generali della cristallochimica (Faure G., 1992) è corretto ritenere esso vicarii questo elemento maggiore nei K-Feldspati, nei Fillosilicati e nei Plagioclasi, occupando preferenzialmente i siti cristallografici a coordinazione 8 o 12. Il Cd è un elemento calcofilo e può raggiungere concentrazioni molto elevate nei solfuri, in particolare nella Galena, e nella Sfalerite, dove può facilmente vicariare il Pb e lo Zn. I solfuri delle rocce, ed in particolare la Pirite, non sono comunque presenti in quantità sufficienti ad occludere tutto l’elemento presente nel magma, che è pertanto in buona parte ospitato nei reticoli cristallini dei minerali primari di K e delle Apatiti (Whedwpohl K.H., 1969).

            Le forme che il Cd ha nei sedimenti trasportati dai corsi d’acqua provenienti da bacini idrografici che ospitano una fiorente industria, sono riportate sulla sinistra della figura F1334-4. Le forme prevalenti del Cd sono quelle solubili, scambiabili ed occluse negli ossidi di manganese. Nella colonna d’acqua marina la concentrazione del Cd ha il valore minimo nei primi 200m, indicando che nello strato oceanico ricco di vita è fortemente accumulato dagli organismi planctonici. Nello strato sottostante ha una concentrazione maggiore e costante, indicando che non è efficientemente rimosso

 

 

Figura F1335-1. Diagramma Eh-pH del sistema Cd-S-C-O-H.

 


Tabella T1335-1. Costante di selettività delle Ca-Argille verso Pb, Cd, Zn e Cu.

(Elaborato da Bolth G.H., 1976).

 



 


Figura F1335-2. Rapporto tra potenziale ionico dell’elemento di transizione bivalente ed la costante di selettività delle Ca-Argille. (Elaborato da Bolth G.H., 1976).

 

     


 


Figura F1335-3. Stabilità dei complessi dell'acido acetico con alcuni metalli pesanti bivalenti.

 

 


Figura F1335-4. Rapporto tra pH del suolo e costante di Langmuir KL.

(Tratto da Shulte A. e Beese F., 1994).

 


dall’acqua marina a causa della sedimentazione della sostanza organica e delle argille. Il tempo di residenza del Cd nell’oceano è quindi presumibilmente lungo rispetto a quello del Pb, rapidamente rimosso dalla sedimentazione della sostanza organica e delle argille. La concentrazione del Cd nelle rocce sedimentarie è bassa nelle Argilliti di piana abissale (0,5 mg/Kg), ed è maggiore nelle Argilliti di piattaforma continentale (1 mg/Kg). Bassa è la concentrazione del Cd nelle rocce carbonatiche, 0,05 mg/Kg. La distribuzione del Cd nelle rocce sedimentarie suggerisce che il principale meccanismo di rimozione del Cd dalle acque oceaniche sia la sedimentazione delle argille. La concentrazione del Cd è molto elevata nel carbone, 1,3 mg/Kg, indicando che questo elemento è fortemente accumulato dalla vegetazione terrestre. La concentrazione del Cd nella crosta terrestre è di 0,11 mg/Kg.

            La concentrazione del Cd nei suoli Russi (Vinogradov, 1959) risulta da rilievi condotti nella prima metà del ‘900 di 0,1 mg/Kg, indicando un fattore di arricchimento del suolo rispetto alla crosta terrestre uguale a 1,0. Da rilievi condotti più recentemente (Adriano D.C., 1990) la concentrazione del Cd risulta di 0,26 mg/Kg nel Nord America, 0,7 mg/Kg nel Regno Unito e in media di 0,62 mg/Kg nel mondo. L’aumento della concentrazione del Cd nei suoli è principalmente dovuta alle attività antropiche degli ultimi 50 anni (Adriano D.C., 1990. Alloway B.J., 1990).  Nel suolo la solubilità del Cd può essere controllata dalla precipitazione di fasi insolubili che dipendono dalle condizioni di Eh-pH, (figura F1335-1). La solubilità del Cd è limitata in condizioni riducenti dalla precipitazione dei solfuri. In ambiente ossidante la solubilità del Cd è controllata dal pH. A pH superiori ad 8, tipici dei suoli carbonatici ed alcalini si ha la precipitazione del carbonato, degli ossidi e degli idrossidi. Nell’ambiente ossidante tipico delle acque superficiali e di falda il Cd è fortemente solubile a pH inferiori ad 8. Come per tutti gli altri elementi di transizione bivalenti, il Cd forma complessi stabili con il Cl che ne possono innalzare la solubilità anche a pH alcalino o in ambienti riducenti (Doner H.E., 1978).

            La solubilità del Cd, come quella di  Rb,  Cs,  K, e Pb, avendo un modesto potenziale ionico e bassa energia di idratazione, può essere adsorbito  nei siti altamente selettivi tipici delle Illiti e delle Idromiche (Ziper C., Komarneni S., e Baker D. E., 1988, Sawney) nei quali è legato con energie prossime a quelle dei legami ionici. I siti planari dei minerali argillosi, non sono selettivi nei confronti del Cd, che può essere facilmente scambiato dal Ca. Per queste argille il coefficiente di selettività nell’adsorbimento di questi due cationi è infatti mediamente di 1,0 (tabella T1335-1 e figura F1335-2). La solubilità del Cd può essere inoltre controllata dalla complessazione con i gruppi carbossilici dei composti organici, di cui, a titolo di esempio,  sono riportate le costanti di stabilità dell’acido acetico nella tabella T1335-2, F1335-3. All’adsorbimento del Cd possono ovviamente partecipare anche gli ossidi di Fe e Mn (tabella T1334-4). Sculte A. e Beese F. (1994) studiano 16 campioni di suolo Israeliani e Tedeschi e trovano che l’adsorbimento del Cd sul suolo può essere descritto dall’isoterma di Langmuir. La costante di complessazione KL dell’isoterma di Langmuir dipende linearmente dall’attività dello ione idronio e dal componente minerale che ne tampona l’attività (figura F1335-4), mentre il massimo di adsorbimento A aumenta con il contenuto di argilla. Holm P.E. et al. (1996) osservano che la soluzione circolante dei suoli agrari carbonatici, tamponati a pH 8 dalla Calcite, la concentrazione del Cd può raggiungere valori superiori a 10 volte quella prevedibile dalla precipitazione del l’Octavite, CdCO3, probabilmente a causa della presenza nella soluzione circolante di sostanza organica solubile. McBride M.B.  et al. (1981) osservano che l’adsorbimento del Cd su un campione di suoli rappresentativo  dell’America Nord-Occidentale, dove il pH è varia tra 4,8 e 7,3 mentre il contenuto di argilla varia tra il 2 e il 52%,  è ben descritto dall’isoterma di Langmuir. Impiegando una soluzione di riferimento 10^-5 M osservano che la quantità di Cd legato alla frazione solida è inversamente proporzionale al Ca scambiabile. La frazione di Cd adsorbita sul suolo è a sua

volta inversamente proporzionale alla concentrazione del Cd nel grano cresciuto sul suolo contaminato dal Cd. Gli autori concludono pertanto che il principale fattore di controllo della biodisponibilità del Cd antropico è la reazione di scambio tra Cd e Ca sulle argille. Come riporta Alloway (1997) molti autori trovano una correlazione lineare significativa tra contenuto di Cd nel vegetale e nel suolo. Secondo la rassegna critica di Baes C.F. et al. (1984) sui fattori di trasferimento suolo-pianta, la concentrazione del Cd antropico nelle porzioni vegetative e quiescenti dei vegetali è mediamente il 55% ed il 16% della concentrazione dell’elemento nel suolo, indicando un forte accumulo dell’elemento nella biomassa vegetale. Per i suoli del Nord America dove il contenuto di Cd è mediamente di 0.35 mg/Kg si può stimare il contenuto medio di Cd nei foraggi di 0,19 mg/Kg e nella granella dei cereali di 0,21 mg/Kg. Per gli elementi di cui si registrano elevati tassi di deposizione dall’atmosfera, come osservato da Sheppard S.C. et al (1992) per valutare la concentrazione  nella biomassa vegetale oltre all’assorbimento radicale andrebbe considerato l’assorbimento fogliare. Bertelsen B.O. et al. (1995) la concentrazione del Cd in un ampio campione di tessuti vegetali della Norvegia Meridionale, soggetta ad una deposizione atmosferica di 2,9+/-24% mg·m-2·a-1. La concentrazione del Cd risulta di 0,29+/-94% mg/Kg. La concentrazione media del Cd nella biomassa vegetale non cambia significativamente dieci anni dopo, nel 1992, quando la deposizione al suolo di Cd è scesa a 0,09+/-5% di mg·m-2·a-1, suggerendo che il Cd manifesti una bassa assimilabilità fogliare.

            Le concentrazioni di Cd nei tessuti vegetali che determinano un decremento del 25% della fotosintesi variano sensibilmente secondo la specie (Adriano D.C., 1986). Su un campione di 19 essenze esse sono risultate comprese tra 160 mg/Kg e 3 mg/Kg, con una media di 56+/86% (n=19) mg/Kg. La dose giornaliera assimilabile dalla popolazione di Cd consigliata dalla FAO è di 0,060.07 mg/g. La dose assimilata dalla popolazione  mondiale, è compresa tra 0.025 e 0.075 mg/g (Alloway B.J., 1997). L’assimilabilità del Cd ingerito con l’alimentazione è nei mammiferi modesta; solo 1-2% per il ratto, 0,5-3% per la scimmia, 16% per le vacche, 3-8% per gli uomini (Ragan H.A. e Mast T.J., 1990). I minerali argillosi non diminuiscono la biodisponibilità del Cd antropico ingerito accidentalmente con il suolo (Sheppard S.C. et al., 1994).  L’assimilabilità del Cd inalato è  doppia rispetto a quella del Cd ingerito (Ragan H.A. e Mast T.J., 1990). Tra gli effetti sanitari dell’intossicazione da Cd vi è la diminuzione della fertilità maschile (op. cit.), un fenomeno che, come noto, affligge le popolazioni urbane, gli allevamenti bovini e che è, con la caccia, tra le cause della diminuzione del numero di branchi di Balene.

            Le principali sorgenti d’emissione antropica di Cd nell’ambiente sono: i fertilizzanti fosfatici, i fanghi di depurazione e le attività inerenti l’estrazione e la lavorazione di minerali. Il Cd, come Pb, Bi e Sb  è contenuto già in origine nella fosforite, la roccia sedimentaria organogena dalla quale vengono prodotti i fertilizzanti fosfatici (Wedepohl, 1969). Infatti è riscontrata una correlazione diretta tra l’accumulo di P e Cd sulla superficie dei suoli a testimoniare la pericolosità di un indiscriminato

utilizzo di tali fertilizzanti (Alloway B.J., 1997). Il suo contenuto nei fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura dipende dalla tipologia del rifiuto e dall’estensione del centro urbano che li produce. Le acque di scarico impiegate nelle attività estrattive di alcuni minerali quali, in particolare, la Sfalerite (ZnS) e la Smithsonite (ZnCO3) hanno tenori in Cd decisamente inquinanti (540 mg/kg). Un’ulteriore conseguenza causata dai processi di fusione dei minerali sopracitati è rappresentata dall’immissione nell’atmosfera del Cd, stimata di 5510^8 g/a (Adriano D.C., 1986) e, quindi, di una successiva deposizione la cui concentrazione dipende dalla distanza dalla sorgente d’emissione.

 

            1.3.3.6. Zinco (Zn).

            Lo Zn+2 ha un potenziale ionico di 2,7 Å-1, simile a quello del Fe+2 (2,62 Å-1) di cui è vicariante nelle strutture cristalline dei minerali primari. La sua concentrazione . nelle rocce ignee, è minima  nelle peridotiti (15 mg/Kg), massima nei basalti (90 mg/Kg) e minima nelle rocce acide (15 mg/Kg). Esso si concentra  nel fuso basaltico prodotto dalla fusione parziale delle rocce peridotitiche del mantello. Dal magma basaltico, a differenza di Pb e Cd, ioni troppo grossi per vicariare il Fe+2, è efficacemente rimosso dalla cristallizzazione frazionata dei minerali di Femici, principalmente dai Pirosseni ed dagli Anfiboli. Esso inoltre può vicariare il Fe+2 nella Pirite, dove raggiunge elevate concentrazioni. Nel magma acido rimangono perciò modeste quantità di Zn, che vengono ad essere catturate come elemento in traccia prevalentemente nella Biotite e negli altri minerali femici che, come i pirosseni, talvolta si osservano nelle rocce acide (Wedepohl, 1969). La sua concentrazione nel suolo può essere controllata dalla precipitazioni di solfuri in ambiente riducente. In ambiente ossidante è altamente solubile a pH inferiore ad 8, mentre a pH inferiori precipita come ossido (Brookis D.G., 1988). Come gli altri elementi di transizione bivalenti la sua concentrazione nella soluzione circolante nel suolo può essere controllata dall’adsorbimento sui colloidi organici e le argille (T1334-4). Da queste ultime, avendo un potenziale ionico piuttosto elevato e una energia di idratazione relativamente alta, non fissato nei siti specifici dei bordi di alterazione delle Illiti  e delle Idromiche. Come per gli altri elementi di transizione bivalenti molti autori riportano una forte correlazione tra il contenuto di Zn e quello di Fe e Mn nei sedimenti fluviali. Le forme che assume in questi dipendono dal bacino idrografico (Figura F1334-3). Nei bacini delle aree industrializzate prevalgono le forme solubili, scambiabili e legate agli ossidi di Mn mentre nei bacini idrografici delle aree poco industrializzate prevalgono le forme occluse nei minerali primari. Nell’oceano, lo Zn, come il Cd, si comporta da fattore limitante la crescita planctonica nei primi 200 m di spessore oceanico e nello strato sottostante raggiunge una concentrazione elevata e costante, indicando che è rimosso dalla sedimentazione della sostanza organica con scarsa efficacia. Il suo tempo di residenza nell’oceano è di 10^310^4 a (Whitfield M., 1981). La concentrazione dello Zn nelle rocce sedimentarie è massima nelle Argilliti di piana abissale (165 mg/Kg), dove è associato prevalentemente agli ossidi di manganese, intermedia nelle Argilliti ricche in sostanza organica (100 mg/Kg) e bassa nelle Argilliti povere di carbonio organico (10 mg/Kg). Nei carbonati ha basse concentrazioni, 1,7 mg/Kg. Dalla distribuzione dello Zn nelle rocce sedimentarie è ragionevole ritenere che i principali meccanismi di rimozione dalle acque oceaniche sia il seppellimento della sostanza organica e la sedimentazione delle argille. II contenuto di Zn nel carbone è di 1,7 mg/Kg indicando che questo elemento rispetto al Pb ed al Cd è meno fortemente bioaccumulato dalla vegetazione continentale rispetto al Pb, del Cd e dell’As.

            Tra le sorgenti di inquinamento del suolo vi è lo Zn è contenuto nei fertilizzanti sia organici che inorganici, come il solfato di zinco (ZnSO4), l’ossido di zinco (ZnO) ed il complesso Zn-NH3 utilizzati in agricoltura. Altre fonti inquinanti possono essere rappresentate dalle polveri dei combustibili fossili, dalla fusione dei metalli non ferrosi e dai fanghi di depurazione. Particolarmente variabile è il contenuto di Zn nei fanghi di depurazione che risulta spesso superiore ai livelli di fondo dei suoli.

 

            1.3.3.7. Rame (Cu).

            Il Cu ha un potenziale ionico più elevato simile a quello dello Zn e una analogo comportamento nel ciclo petrogenico. La sua concentrazione nelle rocce ignee è massima nelle rocce basiche ed intermedia nelle rocce basiche e acide. E’ stata osservata una significativa correlazione tra il contenuto di Cu e di S nelle rocce basiche, indicando che la cristallizzazione della Pirite nel magma basaltico rimuove quantità significative di Cu dal fuso silicatico. Tra Pirite e Calcopirite vi è infatti una buona miscibilità allo stato solido (Wedepohl K. H., 1969).

            Nei suoli la sua solubilità è controllata in ambienti riducenti dalla sedimentazione dei solfuri, in ambienti ossidanti il Cu è solubile a pH inferiori a 6, mentre a pH superiori la sua solubilità è controllata dalla precipitazione di ossidi, idrossidi, carbonati e solfati (Brookis D.G, 1988). Avendo elevato un elevato potenziale ionico e una elevata energia di idratazione non è fissato in siti altamente selettivi delle Illiti. Esso forma legami particolarmente stabili con gli ossidi di Mn e i composti umici (T1334-4). Secondo Baes C.F et al. (1984), la concentrazione del Cu antropico nei tessuti vegetativi e quiescenti è rispettivamente il 40 ed il 25% della concentrazione dell’elemento nel suolo. Le forme del Cu rilevate nei sedimenti fluviali sono, come per gli altri elementi di transizione diverse a seconda del grado di industrializzazione del bacino idrografico di provenienza (F1334-3). Nelle acque oceaniche la concentrazione del Cu è minima in superficie e cresce linearmente con la profondità. La concentrazione del Cu nelle rocce sedimentarie indica che il principale meccanismo di rimozione del Cu dalle acque marine è stata, nel corso delle ere terrestri, la sedimentazione delle argille e della sostanza organica. Il suo tempo di residenza nell’acqua oceanica è stimato di 10^3 anni (Whitfield M., 1981).

            La fonte più rilevante di Cu nei suoli agricoli è rappresentata da alcuni suoi composti, utilizzati come fertilizzanti, quali: i chelati, capaci di mantenere il Cu biodisponibile per i vegetali, il solfato di rame idrato (CuSO4  5H2O) contenente il 25,5 % di rame ed alcuni ossidi (CuO, Cu2O). Di particolare interesse il loro utilizzo come fungicidi e battericidi nella protezione sanitaria della vite, poiché efficaci nel combattere la Peronospora, parassita diffuso in tutti i paesi viticoli del mondo. I preparati “storici” più efficaci sono le poltiglie cupriche, tra cui la poltiglia borgognona e quella bordolese sono, da sempre, le più impiegate. La poltiglia borgognona consiste in una soluzione di solfato di rame idrato neutralizzata con carbonato di sodio (Na2CO3), mentre quella bordolese è costituita sempre da solfato di rame idrato, neutralizzato, in questo caso, con calce spenta Ca(OH)2.Questi composti cuprici amorfi sotto l’azione dell’acqua piovana carica di anidride carbonica o sotto l’azione della rugiada liberano ioni rame solubili. Tra i preparati moderni più adottati vi sono i fungicidi cuprici puri, le poltiglie bordolesi essiccate e micronizzate, che è sufficiente mettere in sospensione nell’acqua per poterle utilizzare direttamente nel trattamento della vite, e le miscele organo-cupriche, ottenute aggiungendo ad uno o più fungicidi organici di sintesi composti quali l’ossicloruro tetracuprico, il solfato di rame e l’idrossido di rame. Alti quantitativi di Cu si possono trovare anche nei fanghi di depurazione e nelle deiezioni degli animali d’allevamento nutriti con mangimi addizionati in solfato di rame, che viene sempre più impiegato nell’alimentazione animale, poiché è risultato essere un valido integratore alimentare.

         1.3.3.9. Nichel (Ni).

            Gli apporti più rilevanti di Ni antropogenico provengono dalle emissioni delle fonderie e dai fanghi di depurazione dove supera lo 0,5 % e rappresenta, con lo Zn ed il Cu, il metallo pesante che potenzialmente può risultare più fitotossico.

 

            1.3.3.10. Cobalto (Co).

            Particolarmente ricchi in Co sono i liquami animali e le acque di scarico prodotte dalle fonderie, che vengono talvolta riversate su vaste aree con conseguente rischio di contaminazione. Minori quantitativi sono presenti nelle ceneri prodotte durante la combustione del carbone (specie quello bituminoso) (vedi Tabella 1-6). Un’altra potenziale sorgente inquinante è costituita da un uso eccessivo dei sali di Co o dei fertilizzanti fosfatici trattati con il Co.

 

            1.3.3.11. Cromo (Cr).

            Le fonti d’inquinamento principali del Cr sono rappresentate dai fertilizzanti fosfatici, che possono contenere oltre 1000 mgr/Kg di Cr, e dalla deposizione atmosferica provocata dalle emissioni delle industrie metallurgiche, specialmente acciaierie o stabilimenti che estraggono e trasformano il Fe. Minori quantitativi vengono prodotti dagli impianti di riscaldamento, dalle centrali elettriche e dai cementifici (vedi Tabella T132-1).


2.

OBIETTIVI

 

            Obiettivi della ricerca sono di indagare la mobilità degli inquinanti emessi in prossimità di stabilimenti siderurgici ed identificare i fattori chimici e fisici che la controllano. In particolare si indagano:

 

 

1)         La distribuzione areale dell’inquinante attorno allo stabilimento;

 

2)         l’innalzamento antropico della concentrazione litogenica dei microelementi inquinanti;

 

3)         la velocità di lisciviazione dell'inquinante;

 

4)         l’importanza della geomorfologia e dell’uso del suolo nel determinare la mobilità degli inquinanti;

 

5)         l’importanza della geomorfologia e dell’uso del suolo nel determinare la biodisponibilità degli inquinanti.


3.

MATERIALI E METODI

         3.1.   Inquadramento geologico, pedologico e climatico delle aree di studio.

 

3.1.1. La contea di Cliland, Glasgow, Scozia.

            La contea di Cliland è ubicata all’interno di una grande unità tettonica, nota con il termine di “The Midland Valley” o “The Great Valley”, la grande Cameron B.I. e Stephenson D., 1985). Dal Devoniano  al Siluriano nella Great Valley si registra la deposizione di Arenarie continentali rosse a festoni tipiche di clima desertico. Ad incominciare dal siluriano la Great Valley viene a trovarsi delimitata da due faglie distensive orientate in direzione E-W e diviene soggetta ad un lento sprofondamento tettonico al quale si accompagna un cambiamento della tipologia dei sedimenti. Dai rilievi posti a nord e a sud della Great Valley delimitati dagli specchi delle faglie distensive è eroso materiale terrigeno, intercalato da sedimenti marini di ambiente poco profondo testimoni di periodiche ingressioni marine. In particolare, nel corso del Carbonifero, quando il Regno Unito era venuto a trovarsi a latitudini equatoriali, le sequenze sedimentarie che colmano la Great Valley sono composte da alternanze ciclotemiche composte da strati di rocce carbonatiche, carbone e limi tipiche del periodico susseguirsi di ambienti deposizionali di mare poco profondo, lacustri e di pianura alluvionale. Nel Triassico all’apertura dell’Oceano Atlantico si associa una fase compressiva con direttrice N-S che determina il sollevamento delle “Higlands”, i rilievi collinari della Scozia Settentrionale. Soggette ad un rapido sollevamento, stimabile nell’ordine di grandezza dei cm/a, l’erosione porta ad affiorare le rocce della crosta continentale superiore, principalmente Scisti Gneiss e rocce granitoidi. Le faglie distensive che delimitano a nord ed a sud il bacino sedimentario della Great Valley sono riattivate in chiave compressiva ed i sedimenti che riempiono la depressione tettonica  della Great Valley rimangono ripiegati a formare una anticlinale ad asse E-W pizzicata tra i blocchi continentali convergenti delle Higlands e della Scozia Meridionale. Alla fase compressiva del Cenozoico si associa ovviamente un sollevamento eustatico che porta all’erosione dei sedimenti Cenozoici ed all’affioramento del substrato Paleozoico del riempimento sedimentario della  Great Valley.

            Nel corso del quaternario in occasione dei periodi glaciali il Regno Unito Settentrionale e Centrale è stato periodicamente coperto da ghiacciai continentali dello spessore di 1000-2000 m. L’ultima glaciazione del Pleistocene, denominata “glaciazione flandriana”, rimodella completamente la superficie topografica del Regno Unito fino alle regioni centrali e traccia un sistema di valli glaciali ampie diverse decine di Km e solcate da Drumlins, rilievi collinari lunghi qualche chilometro ed alti qualche centinaio di metri, orientati parallelamente alla linea di deflusso delle lingue del ghiacciaio Flandriano.  I Ghiacciai flandriani erodono quasi completamente i sedimenti quaternari deposti nel precedente periodo caldo, ed al loro ritiro ricoprono la Scozia Centrale e Settentrionale di depositi glaciali, periglaciali e fluvioglaciali. Sulla superficie di deglaciazione si imposta l’attuale reticolo idrografico della Great Valley, che segue le ampie valli glaciali insinuandosi tra i Drumlins. A causa dello scioglimento dello spesso ghiacciaio flandriano, nell’Olocene le faglie che delimitano a Nord (Higland Boundary Fault) e a Sud (Sutern Upland Fault) sono state riattivate e la Great Valley è divenuta soggetta ad un lento sollevamento eustatico. La velocità di sollevamento è compresa tra  il mm/a della costa occidentale e i 4 mm/a della costa orientale. I depositi glaciali flandriani nell’Olocene sono stati rimaneggiati dalle acque superficiali, ma con scarsa energia, sia a causa della modesta acclività dei rilievi, che della modesta entità del sollevamento tettonico. La carta pedologica del Regno Unito classifica i suoli della Great Valley come Gleysol.

            Il Clima della Scozia è caratterizzato da intense precipitazioni, comprese tra 1000 e 2000 mm/a, omogeneamente distribuite nel corso dell’anno. L’evapotraspirazione nella contea di Cliland supera le precipitazioni tra aprile e settembre per un massimo di 40 mm (figura F311-1). Le temperature medie mensili sono comprese tra i valori minimi di 3-6 °C ed i valori massimi di 17-22°C. A causa della calda Corrente del Golfo che affiora a poche centinaia di Km a nord delle coste scozzesi i periodi di gelo e di copertura nevosa del suolo sono limitati a pochi giorni all’anno.

            La contea di Cliland è ubicata a qualche decina di km a sud di Glasgow, la città che fino all’inizio di questo secolo rappresentava il principale centro industriale dell’Impero Britannico. Nella contea di Cliland l’attività economica prevalente è stata quella agricola fino al ‘700, epoca nella quale incomincia l’estrazione dalle rocce paleozoiche. All’attività mineraria si aggiunge all’inizio del ‘900 l’attività siderurgica dello stabilimento British Stell. Agli inizi degli anni ‘80 cessa l’attività mineraria e, poco dopo, nel 1987, quella siderurgica. Alla rilocalizzazione dell’industria pesante nei paesi in via di sviluppo nell’area metropolitana di Glasgow si accompagna l’espansione delle attività terziarie e l’urbanizzazione delle aree agricole e delle aree industriali dismesse. Il cambiamento d’uso del suolo suscita preoccupazione presso le autorità locali dell’area metropolitana di Glasgow a causa della presenza nel suolo di metalli pesanti nei suoli e del possibile effetto sanitario sulle popolazioni residenti.

            Per valutare il grado di contaminazione del suolo della contea di Cliland si è campionato un profilo dello spessore di 45 cm a cinque Km sottovento lo stabilimento siderurgico della British Stell, sulla sommità pianeggiante di un Drumlins. Il suolo campionato nel corso del ‘900 a ricevuto le emissioni fumose dello stabilimento siderurgico della British Stell. Il flusso inquinante è stato confinato

 


 


Figura F311-1. Dati climatici della contea di Cliland.

 


nell’orizzonte Ap dalle lavorazioni agricole fino al 1987, anno in cui la British Stell ha smantellato lo stabilimento. Nello stesso anno il suolo è stato riconvertito dalla coltivazione dell’orzo a quella del prato permanente e sono quindi cessate le lavorazioni agricole. L’inquinante confinato nell’orizzonte lavorato ha così potuto essere lisciviato verso gli orizzonti profondi.

 

3.1.2. Il Comune di Villadossola, Verbania, Italia.

            L’area di studio si estende sottovento allo stabilimento siderurgico SISMA di Villadossola (Vb) su un’area di 20 Km2 circa, due chilometri ortogonalmente all’asse vallivo e cinque longitudinalmente (figura F312-1).

            Il settore di valle studiato è intagliato in 5 diverse unità tettoniche (Barbieri F., 1983): la Falda Ofiolitica Piemontese, il Penninico, il Basamento Penninico, l’Austroalpino ed il Basamento Sdalpino. Lo schema tettonico dell’area di studio, e i rapporti strutturali tra le unità tettoniche sonno riportati nelle figure F312-2 ed F312-3. Le rocce presenti nell’alta Val d’Ossola (figura F312-3) sono principalmente Gneiss, Micascisti, Metabasiti,  Calcescisti e, secondariamente, Serpentiniti. In tutta la valle si osservano mineralizzazioni ad Arsenopirite aurifera, Calcopirite, e Niccolite di età mesoalpina, riportate nella figura F312-2 con i simboli As o Au, Cu e Ni rispettivamente. In corrispondenza dell’anticlinale delle valli Anzasca ed Antrona, dove un lembo di Metabasiti della Falda Ofiolitica Piemontese è pizzicato all’interno degli Gneiss del Basamento Pennidico (figura F312-3, profilo A’-B’), le mineralizzazioni di Arsenopirite aurifera sono costituite da sistemi di vene dello spessore di qualche metro e di diversi ettometri di lunghezza. Le mineralizzazioni della Val d’Ossola costituiscono il centro di alto grado di un campo di mineralizzazioni a solfuri ellissoidale che si estende per qualche centinaio di Km parallelamente all’asse dell’edificio alpino Nord-Occidentale (Mastrangelo F., Natale P. e Zucchetti S., 1983), la cui origine va ricercata nella circolazione idrotermale associata all’attività plutonica delle radici dell’orogeno alpino.

            Le mineralizzazioni della Val d’Ossola sono state coltivate per l’estrazione di oro e ferro ad incominciare dal 1700. L’attività estrattiva è stata nell’ultimo secolo condotta su scala industriale raggiungendo la massima intensità sul finire dell’ultima guerra. Nel complesso essa ha portato all’escavazione di un sistema di gallerie che si estende svariate decine di chilometri. La presenza di giacimenti minerari economicamente interessanti è, come per le altre vallate,  la ragione della vocazione siderurgica della valle d’Ossola, lungo il cui asse si contano 6 fonderie. La storia dell’attività siderurgica della valle è complessa e parzialmente ricostruibile attraverso l’intervista dei quadri tecnici degli stabilimenti e delle miniere. E’ ragionevole ritenere che la fusione dei minerali escavati dai campi minerari della Valle d’Ossola sia andata progressivamente aumentando di pari passo con l’attività

 

Figura F312-1. Area di campionamento della Val d'Ossola.

 


Figura F312-2. Schema tettonico dell'area di studio.

 


Figura F312-3. Carta geologica compilativa dell'alta Val d'Ossola.

 


estrattiva nel corso del ‘900, raggiungendo i valori massimi sul finire dell’ultima guerra. Successivamente alla chiusura delle miniere, avvenuta negli anni ‘50, le fonderie devono essersi orientate alla fusione di rottami e materiale minerario proveniente da giacimenti esteri. La storia dell’inquinamento dei suoli di Villadossola ascrivibile alle attività siderurgiche è presumibilmente complessa. L’evento inquinante di maggiore rilievo degli ultimi cinquanta anni sembra comunque risalire al biennio 1981-1982. In tale biennio la popolazione ha lamentato presso le Unità Sanitarie Locali ingenti e preoccupanti emissioni da parte dello stabilimento SISMA, le cui osservazioni sono riportate nella tabella T312-1. E’ possibile stimare l’emissione di metalli pesanti complessiva avvenuta nel biennio 1982-1983 assumendo che le emissioni orarie registrate dalle UUSSLL siano durate un’ora per ciclo fusorio e che vi siano stati 9 cicli fusori al giorno.

 

Tabella T312-1. Emissioni in atmosfera della fonderia SISMA nel biennio 1980-1982.

 

 

 

Elemento

Emissione oraria, Kg/h

Emissione complessiva, t

Zn

45

296

Cr

20

131

Fe

5,34

35,1

Pb

5,0

32,9

Ca

5,0

32,9

Mn

3,0

19,7

Cu

0,20

1,31

Ni

0,11

0,72

Cd

0,10

0,66

 

 

            Nell’ultima glaciazione del Pleistocene, terminata circa 10.000 anni fa, la valle d’Ossola era coperta da un ghiacciaio della potenza di 1-2 Km. Sui versanti vallivi si rinvengono le tracce sedimentarie dell’episodio glaciale, rappresentate da morene laterali, depositi fluvio-glaciali ed infine da depositi loessici. Nel successivo periodo caldo olocenico, ovvero nel corso degli ultimi 10.000 anni, i depositi glaciali e periglaciali sono stati rimodellati dallo scorrimento delle acque superficiali. I depositi glaciali risultano così ora rimodellati dall’acqua non incanalata e dissecati dai corsi d’acqua. Essi possono essere osservati principalmente in corrispondenza della rottura di pendio associata alle spalle glaciali, in quanto lungo i versanti vallivi, se presenti, sono ricoperti da uno strato metrico di colluvium ridistribuito dallo scorrimento delle acque non incanalate. Nel fondovalle i depositi glaciali,

 



 

.

 


quando presenti, sono ricoperti dalle alluvioni deposte dal fiume Toce e dai suoi affluenti. Lo spessore del deposito alluvionale si può stimare raggiunga in corrispondenza dell’asse vallivo la potenza di 100-200 metri. Le alluvioni che occupano il fondovalle sono costituite da conglomerati e ghiaie deposti ad opera del fiume Toce e nei suoi affluenti. In superficie i conglomerati e le ghiaie sono ricoperte da uno strato dello spessore di qualche decimetro di sabbie fini e limi.. I depositi alluvionali del fondovalle sono rimaneggiati dalle acque superficiali con relativa frequenza rispetto ai depositi colluviali dei versanti vallivi.

La “Carta della capacità d’uso del suolo” edita dalla Regione Piemonte distingue Entisuoli sul fondovalle ed Inceptisuoli sui versanti vallivi. L’uso del suolo è in stretta relazione alla topografia. Nel fondovalle, pianeggiante, i suoli sono coltivati a mais in rotazione con prati polifiti e sono soggetti a lavorazioni meccanizzate relativamente profonde (20-30 cm). La profondità di aratura è limitata dalla presenza a modeste profondità di ghiaie e ciottoli. I suoli impostati sui versanti vallivi per essere coltivati sono stati terrazzati. A causa dell’idoneo microclima i terrazzamenti in passato hanno ospitato coltura della vite, mentre attualmente sono occupati prevalentemente da prati permanenti e a boschi cedui. La profondità di lavorazione sui terrazzamenti è limitata dal modesto spessore del deposito colluviale, dalle accentuate pendenze e dalle modeste dimensioni degli appezzamenti che rendono impossibile la lavorazione meccanica con mezzi pesanti. Le lavorazioni, quando vengono effettuate, sono leggere (10-20 cm). I suoli dei versanti vallivi che non sono stati terrazzati e non possono essere lavorati a causa dell’elevata acclività ospitano foreste di latifoglie o boschi cedui.

            Il comune di Villadossola dal punto di vista climatico rientra nella Regione mesaxerica, sottoregione ipomesaxerica del sistema Bagnouls Gaussen (figura F312-4). La temperatura media annua è 11.5 °C, con le temperature maggiori corrispondenti ai mesi di Luglio e Agosto. Secondo i dati riportati dall'atlante climatologico della Regione Piemonte, subisce in media 64 giorni di gelo all'anno. La distribuzione della piovosità mostra 2 massimi annuali, uno in Maggio e l'altro in Ottobre con un totale di 1518 mm di precipitazioni all'anno. Il mese con il maggior numero di giorni piovosi è però Maggio. L'evapotraspirazione potenziale, secondo Thorntwaite, è invece massima durante i mesi di Giugno e Luglio. Secondo il Newhall Simulation Model, il regime termico dei suoli è mesico, mentre quello idrico è udico.

 

         3.2. Campionamento.

            Per valutare lo stato di inquinamento dei suoli della contea di Cliland è stato raccolto un unico profili di suolo sulla sommità di un rilievo collinare alto un centinaio di m a 5 Km sottovento lo stabilimento siderurgico della British Steell. Il suolo è stato campionato raccogliendo una carota avente 10 dm2 di area e 45 cm di altezza. La carota è stata quindi suddivisa in 9 fette aventi 5 cm di spessore

            Nel comune di Villadossola sono stati raccolti campioni in 19 siti in un’area che si estende per 5 km lungo l’asse vallivo e per 2 km ortogonalmente ad esso (F312-1). La densità di campionamento nel comune di Villadossola è stata di 1 sito per Km2, una densità di campionamento considerata più che sufficiente al fine della cartografia pedologica e ambientale. Nello scegliere l’ubicazione delle stazioni di campionamento si è cercato ovviamente di raccogliere un insieme rappresentativo e ragionevolmente bilanciato sia delle principali unità d’uso del suolo che delle principali unità geomorfologiche.

            Nel confronto dell’uso del suolo si sono distinti i suoli coltivati a bosco, a prato permanente sfalciato e a prato sfalciato in rotazione agricola. Nei confronti della geomorfologia dell’area si sono distinti i suoli del fondovalle alluvionale, la cui roccia madre è rappresentata da depositi alluvionali, i suoli dei versanti vallivi, la cui roccia madre e il colluvium, e i suoli ubicati sulle spalle glaciali, sorta di pianori scolpiti a mezzacosta dalle lingue dei ghiacciai che nel pleistocene si insinuavano nella valle. La roccia madre dei suoli impostati sulle spalle glaciali è rappresentata da una sequenza sedimentaria costituita alla base da depositi fluvio-glaciali ed alla sommità dal colluvium.

            Tenendo presente la geomorfologia e dell’uso del suolo nell’area si sono identificate sei diverse unità. In funzione della geomorfologia si sono distinte tre unità:

 

            1)                    i versanti vallivi;

            2)                    le spalle glaciali;

            3)                    il fondovalle alluvionale;

 

            Altre tre unità si sono distinte in ragione dell’uso del suolo:

 

            1)                    forestale;

            2)                    prato permanente;

3)                                         prato in rotazione agricola con colture cerealicole;

 

            Al fine di studiare la lisciviazione degli inquinanti si è considerata la storia recente dei suoli, e si sono distinti i suoli “disturbati, il cui profilo è stato perturbato da lavorazioni successivamente all’evento inquinante del biennio 1981-1982 e suoli “indisturbati”.

            I suoli sono stati campionati scavando una buca pedologica e suddividendo il profilo del suolo in fette prismatiche con area di 1 dm2 e dello spessore di 5 cm.. Il numero di strati raccolto attraverso il profilo varia da stazione a stazione ed è compreso tra il valore minimo di tre ed il valore massimo di sette. La profondità massima di campionamento è così compresa tra 15 e 35 cm. Sono stati inoltre campionati tre profili pedologici. In questi il profilo è stato diviso in orizzonti pedologici omogenei, che sono stati descritti secondo le norme della Soil Taxonomy; di questi è stato raccolto un volume di campione rappresentativo dell’orizzonte pedologico.            Per la determinazione della densità apparente sono stati raccolti opportuni campioni mediante un cilindro in ottone avente lunghezza di cm 5 e diametro di 5, per un volume totale di circa 100 cm3.

 

         3.3.   Preparazione dei campioni.

            I campioni di suolo sono stati asciugati a temperatura ambiente. L’umidità relativa e la densità apparente sono stati determinati sui campioni raccolti con il carotatore cilindrico per differenza tra il peso secco ed il peso umido. Le analisi chimico-fisiche sono state effettuate sulla terra fine (<2 mm), separata dallo scheletro con setaccio di nylon. I risultati ottenuti sono stati quindi riferiti ad un kg di terra fine oppure ad un dm3 di suolo.

 

         3.4.   Determinazione dei parametri fisici e chimici.

            La porosità apparente (g·dm-3) è stata determinata con il metodo del carotatore cilindrico (Società Italiana della Scienza del Suolo, 1985). Per ogni strato di suolo dello spessore di 5 cm si sono prelevati due cilindri dell’altezza di 5 cm e di 5 cm di diametro, raccogliendo un totale di circa 200 cm3 di suolo per strato. La porosità apparente è stata calcolata quale rapporto del peso del suolo seccato a temperatura ambiente ed il volume campionato.

            La tessitura è stata determinata gravimetricamente per levigazione alla pipetta con l’apparecchio di Gattorta previa dispersione con Na-esametafosfato. 10 g di terra fine sono stati posti in bottiglia di polivinile, umettati con una soluzione di 10 ml di sodio esametafosfato 11,7% e dispersi in 100 ml di acqua deionizzata. La bottiglia di polivinile è stata posta ad agitare per 60’. La sabbia grossa (2 mm<Ø) è stata separata per setacciatura ad umido. La sospensione contenente sabbia fine, limo ed argilla è stata posta in un levigatore di Gattorta avente 500 ml di capacità e 50 cm di altezza. Ad intervalli di tempo calcolati secondo la legge di Stock si sono effettuati due prelievi di 10 ml di sospensione contenenti rispettivamente le frazioni tessiturali limo (0,02 mm < Ø < 0,002 mm) + argilla (Ø<0,002mm) ed argilla. La sospensione prelevata è stata posta in un vetrino da orologio, seccata a 60°C e pesata con la bilancia di precisione in atmosfera mantenuta anidra con gel di silice. La percentuale di argilla, limo, e sabbia grossa è stata calcolata direttamente  del peso del sedimento prelevato, mentre la percentuale di sabbia fine è stata calcolata come complemento a cento. Nella determinazione del contenuto di argilla si è considerata la densità della colonna d’acqua nella quale è avvenuta la sedimentazione e la presenza del sodio esametafosfato impiegato come disperdente, variabili entrambe non trascurabili.

            La sostanza organica è stata determinata mediante ossidazione ad umido con potassio dicromato secondo il metodo Walkley-Black seguendo i metodi normalizzati della S.I.S.S. (Società Italiana della Scienza del Suolo, 1985). 10 g di terra fine sono stati macinati con un mortaio di agata fino ad ottenere un macinato avente dimensione inferiore a 0,5 mm. Una aliquota di macinato compresa tra 0,5 e 2,0 g è stata posta in un matraccio da 250 ml e messa a contatto con 10 ml potassio dicromato 0,100 N. La reazione di ossidazione della sostanza organica è stata innescata dall’aggiunta di 20 ml di acido solforico concentrato ed interrotta dopo 30’ esatti dall’aggiunta di 200 ml di acqua deionizzata. Nel corso della reazione di ossidazione il matraccio è stato mantenuto in agitazione per garantire una omogenea reazione del campione di suolo. Il dicromato ridotto a cromito dalla reazione con la sostanza organica è stato determinato per differenza titolando il dicromato residuo con il sale di Mohor, Fe(NH4)2(SO4)2, 0,050 N. Come indicatore della titolazione si è impiegata ferroina. La quantità di suolo sottoposta ad ossidazione è stata opportunamente pesata così che avere sempre almeno 0,15 mEq di dicromato in eccesso rispetto alla sostanza organica.

            La capacità di scambio cationico (CSC) è stata determinata mediante scambio con bario cloruro BaCl2 tamponato a pH 8,15 con trietanolammina seguendo i metodi normalizzati della S.I.S.S. (Società Italiana della Scienza del Suolo, 1985). 2,0 g di terra fine macinata a 0,5 mm sono stati posti in un tubo da centrifuga con 25 ml di bariocloruro BaCl2 al 10% tamponato a pH 8,15. Il suolo ed il reagente si sono mantenuti in agitazione per 20’ così da ottenere un completa reazione del Ba con il complesso di scambio. Il Ba+2 non adsorbito dal suolo è stato rimosso con due successivi lavaggi effettuati con 25 ml di acqua deionizzata intercalati da 10’ di agitazione meccanica. Al suolo saturato in Ba+2 e liberato dall’acqua deionizzata di lavaggio mediante centrifugazione si sono aggiunti 25,0 ml di MgSO4 0,100 N. Lo scambio tra il Ba+2 adsorbito sul suolo ed il Mg+2 è stato garantito dall’agitazione della sospensione per 20’ e dalla precipitazione del BaSO4. La quantità di Mg+2 adsorbita sul complesso di scambio è stata determinata per differenza titolando con EDTA il Mg+2 rimasto in soluzione dopo lo scambio con il Ba.

            Il pH è stato determinato potenziometricamente in acqua ed in KCl 1N secondo i metodi normalizzati di analisi del suolo della S.I.S.S. (op. cit.). 2 g di terra fine sono stati posti in bottiglia di polietilene e messi a reagire con 5 ml di acqua deionizzata. Il suolo è stato lasciato reagire con l’acqua deionizzata per  15’ su agitatore meccanico, quindi lasciato sedimentare per 30’. L’elettrodo del pH-metro è stato immerso nel liquido limpido e la lettura effettuata dopo 5’.

            L’elemento “totale” è stato determinato mediante estrazione con acqua regia in canne a riflusso secondo i metodi normalizzati della S.I.S.S.  (op. cit.). 1 g di terra fine macinata a 0,5 mm è stata posta in una canna a riflusso ed addizionata con 7,5 ml di acido cloridrico concentrato e 2,5 ml di acido nitrico concentrato. Le canne a riflusso sono state poste a bollire su un bagno di sabbia per due ore. Una volta raffreddata, la sospensione contenuta nelle canne a ricadere è stata centrifugata, il residuo solido lavato con acqua deionizzata e il surnatante portato ad un volume finale di 100 ml esatti.

            L’elemento biodisponibile è stato determinato mediante estrazione con il reagente di Lakanen (una  soluzione di ammonio acetato 0,5 M + EDTA 0,02 M tamponata a pH 4,65) secondo i metodi normalizzati di analisi del suolo della S.I.S.S. (op. cit.). 10 g di terra fine (Ø<2 mm) sono stati posti in bottiglia di polietilene e messi a reagire con 100 ml del reagente di Lakanen su agitatore meccanico per 60’. Il surnatante è stato separato per centrifugazione e filtrazione.

            Le concentrazioni di Si, Fe, Al, Ca, Mg, K, P, S, Cr, Mn, Co, Ni, Zn e Cu, nell’acquaregia è stata effettuata direttamente sull’estratto mediante ICP Perkin-Elmer Optima 3000 multicanale, con rilevatore echelle. Le concentrazione di Bi, As ed  Sb nell’acquaregia sono state misurate mediante ICP Perkin-Elmer Optima 3000 multicanale previa generazione e concentrazione degli idruri secondo il metodo e le apparecchiature sviluppate da Morrow A., Wiltshire G., e Hursthouse A., (1997). Dell’analita 10 ml sono stati posti in un matraccio da 25 ml ed addizionati di 75 mg di ioduro di potassio, 75 mg di acido ascorbico e 3 ml di acido cloridrico concentrato. La soluzione è stata lasciata a riposo per 20’, quindi portata a volume con acqua deionizzata. Il preparato è stato fatto reagire per qualche secondo con una soluzione di sodio boroidrato NaBH4 1 N mantenuta a pH 12 con idrossido di sodio mediante un’apposita apparecchiatura costituita da una pompa peristaltica accoppiata ad un anello miscelatore. Gli idruri di As, Bi ed Sb generati dalla reazione dell’analita con il sodio boroidrato sono stati quindi  raccolti dall’anello miscelatore mediante un separatore a membrana ed aspirati dalla torcia al plasma dell’ICP. La concentrazione di Cd e Pb nell’acquaregia è stata misurata mediante fornetto di grafite Perkin-Elmer HGA 700. All’analita è stata aggiunto un condizionatore di matrice e si sono effettuate le correzioni dell’interferenza della matrice mediante lampada a raggi ultravioletti. Le concentrazioni di Co, Ni, Zn, Cu, Cd e Pb nella soluzione estratta dal reagente di Lakanen è stata determinata mediante assorbimento atomico.

            La mineralogia della frazione argillosa è stata determinata con spettrofotometro a polveri Siemes modello D5000 impiegando la radiazione CuK, una fenditura Soller sul raggio primario e un monocromatore a grafite sul raggio secondario. I trattamenti impiegati per la determinazione semiquantitativa sono stati quelli indicati da Thorez J., (1976) e Wilson M.J. (1987):

 

1)                 campione saturato in Mg;

2)                 campione saturato in K;

            2)         saturato con glicole etilenico;

            3)         riscaldato a 550°C.

 

            La composizione mineralogica è stata quantificata numericamente assumendo che l’altezza del picco diagnostico del minerale considerato sia direttamente proporzionale alla sua percentuale in peso. La percentuale di Illite è stata così stimata dall’altezza del picco a 10 Å   del campione saturato in Mg,  la percentuale di Vermiculite è stata calcolata dall’abbassamento del picco a 14Å a seguito della saturazione del campione con K e  La percentuale di Smectite è stata calcolata dall’altezza del picco a 16 Å del campione trattato con glicole etilenico. La percentuale di Caolino, infine, è stata calcolata dall’abbassamento del picco a 7 Å a seguito del riscaldamento a 550°C.

            Il metodo adottato trascura i fattori di struttura, la cristallinità e l’effetto dell’interstratificazione dei minerali sull’altezza e la forma del picco di diffrazione del minerale considerato ed è pertanto semiquantitativo (Wilson M.J., 1987). A causa dei fattori di struttura il metodo sottostima sistematicamente la percentuale in peso dei minerali poveri di metalli pesanti e con strutture cristalline disordinate mentre sovrastima i minerali ricchi di elementi pesanti e con strutture cristalline ordinate. Il fenomeno  dell’interstratificazioni dei minerali argillosi ha effetto sulla ampiezza e sulla forma del picco di diffrazione e dipende dall’ordine con cui si susseguono i foglietti dei diversi minerali. Trascurare il fenomeno dell’interstratificazione dei minerali argillosi determina una sottostima o una sovrastima dei minerali in dipendenza dell’abbondanza relativa dei minerali nel cristallo e dall’ordine con cui si susseguono nell’edificio cristallino.

            La mineralogia della frazione sabbiosa e limosa è stata determinata mediante microsonda elettronica a dispersione di energia SEM-EDS. Le zollette di suolo analizzate sono state inglobate in resina epossidica, quindi sezionate e lucidate. La sonda è stata calibrata sull’emissione K del Co. Per la quantificazione degli elementi primari si sono impiegate rette di taratura calibrate su minerali standard. La determinazione quantitativa così effettuata è affetta dall’errore determinato dalla differenze di densità dei minerali analizzati e di quelli impiegati nella retta di taratura dello strumento. Tali errori sono trascurabili ai fini della presente indagine.

            Le analisi micromorfologiche sono state effettuate alla microsonda elettronica SEM. Le zollette di suolo sono state poste sul piattello portacampioni e ricoperte da un sottile strato di carbonio.

            Validazione dei dati analitici. Le principali caratterizzazioni chimico-fisiche dei suoli (tessitura, contenuto in sostanza organica, CSC, pH, elemento estraibile dal reagente di Lakanen ed in acquaregia) sono state effettuate in doppio. La deviazione standard delle misure effettuate al di sopra dei limiti di rilevabilità metodologica e strumentale è risultata sempre inferiore al 10%. I limiti di rilevabilità strumentale e metodologica sono stati ampiamente superati per tutte le proprietà misurate eccetto che il contenuto di argille nei suoli di Villadossola, dove talvolta si osserva tra i replicati una deviazione standard del 30%.

            Nelle misure effettuate all’ICP di ogni analita si sono considerate le emissioni determinate dalla matrice ed effettuata l’adeguata sottrazione della radiazione di fondo. Per tutti gli elementi le concentrazioni sono state misurando due diverse linee di emissione, tra le quali hanno si è sempre osservato un coefficiente di varianza inferiore al 3%. Le deviazioni standard tra i replicati, eccetto che per As e Bi, dove la deviazione standard si è mantenuta nel limite di incertezza metodologica del 30% , sono sempre state inferiori al 10%. Nella determinazione del Cd all’HGA, pur essendo stata effettuata ben al di sopra dei limiti di rilevabilità strumentale, la deviazione standard tra i replicati ha raggiunto valori medi del 20% con punte del 40%. Difficoltà nella determinazione del Cd all’HGA sono state lamentate  dai tecnici che erano, indipendentemente, impegnati in analisi di campioni simili in laboratori sia italiani, presso il Dipartimento di Chimica Analitica e Strumentale della Università di Torino, che scozzesi, presso il Department of Chemistry and Chemical Engineering dell’Università di Paisley, Scozia. Le ragioni della elevata deviazione standard osservata tra i replicati delle misure effettuate all’HGA non è stata appurata, ma potrebbe essere dovuta a contaminazioni accidentali determinate dal campionatore dello strumento.

 

         3.5.    Trattamento statistico dei dati.

            Gli strumenti statistici impiegati nella interpretazione dei risultati sono stati le correlazioni lineari e le regressioni multiple (Busetti G., 1983. Spiegel M.R., 1979). Le regressioni multiple sono state ottenute con il metodo dell’aggiunta progressiva di variabili. Una prima serie di regressioni sono state effettuate per ogni variabile dipendente considerata singolarmente. Quindi è stata selezionata la regressione con coefficiente di correlazione r2 più alto e limite di confidenza P pù significativo. Alla correlazione lineare così ottenuta sono state aggiunte una alla volta le rimanenti variabili. Delle numerose regressioni multiple così ottenute si è selezionata quella in cui entrambe le e la variabili indipendenti sono risultate significativamente correlate alla variabile dipendente e con maggior limite di confidenza. Si è quindi proceduto con metodo euristico aggiungendo progressivamente una alla volta tutte le altre variabili fino ad identificare tutte le proprietà del suolo significativamente correlate alla variabile dipendente.

         3.6.   Determinazione della concentrazione litogenica dell’elemento.

            La determinazione della concentrazione dell’elemento litogenico ed antropico di un campione di suolo riveste notevole importanza scientifica e normativa. E’ ovvio infatti che piccoli errori nella valutazione della concentrazione litogenica di un elemento possono portare a grandi errori nella stima del fattore di arricchimento antropico ovvero della perturbazione dei cicli biogeochimici naturali. E’ altrettanto ovvio che la distribuzione degli elementi nei minerali, nelle rocce e nei suoli non a causa dei processi geologici è disomogenea. Si possono così osservare in prossimità di particolari formazioni geologiche, quali i giacimenti minerali, elevate concentrazioni di elementi pesanti tossici la cui componente antropica è trascurabile  anche se è, in termini di impatto sanitario, massiccia.

            In letteratura sono stati riportati diversi metodi per la determinazione della concentrazione dell’elemento litogenico ed antropico (Adriano D.C., 1986. Alloway B.J., 1997. Salomons W. e Förstner U., 1984), nessuno dei quali sembra essere completamente soddisfacente od universalmente accettato. Nei seguenti paragrafi si discutono le caratteristiche dei metodi riportati in letteratura e di quelli adottati nella presente ricerca.

            Quando non si possa disporre di costose misure isotopiche o quando la composizione isotopica dell’inquinante e del suolo non differiscono sufficientemente, la misurazione diretta della concentrazione litogenica non è possibile e si ricorre pertanto ad assunzioni e stime ragionevoli.

            Alcuni autori, assumono che la concentrazione litogenica dei suoli sia quella degli strati ubicati a profondità superiori a 40 cm. Altri autori prendono come riferimento la concentrazioni degli elementi in profili pedologici raccolti lontano dalla sorgente di inquinamento.

            Entrambe i metodi presentano alcuni limiti. I processi pedogenetici infatti comportano una ridistribuzione degli elementi attraverso il profilo di suolo e conducono alla formazione di orizzonti differenti per proprietà fisiche e chimiche (Sequi P. Ed, 1986. Vinogradov A. P., 1959). Gli orizzonti superficiali di suolo così, anche quando non contaminati, hanno una composizione chimica differente da quelli profondi. Tra i processi che possono portare ad un accumulo di un elemento negli orizzonti superficiali di suolo (Violante P., 1986b) vi è ovviamente la precipitazione dell’elemento liberato nel corso dell’alterazione pedogenetica dei minerali primari in forme immobili quali quelle occluse nei reticoli dei minerali secondari, quali argille, sesquiossidi, idrossidi, fosfati, solfati, o carbonati. Inoltre, per gli elementi che possono essere bioaccumulati nella biomassa vegetale quali Cu, Cd, As, Bi,  l’elemento è trattenuto negli orizzonti superficiali ricchi in sostanza organica (Whedepohl K. H., 1969. Vinogradov A. P., 1959). Tra i processi che comportano l’impoverimento di un elemento negli strati superficiali di suolo vi è la traslocazione preferenziale sotto forma di composti solubili facilmente lisciviabili quali PbCl3-1, Cu(OH)3-1 , CrO-, Zn(OC-CH4)3-2, Co(HSO4)3-1 Pb+2, PbCl20, o complessi organometallici con molecole organiche solubili a basso peso molecolare (Cu-OOC-CH3). Inoltre semplici modelli cromatografici che simulano la lisciviazione degli inquinanti poco mobili (Konshin O. V., 1982), indicano che quando la velocità di lisciviazione dell’inquinante è sufficientemente elevata, la concentrazione dell’inquinante antropico negli strati profondi può non essere trascurabile. Il 137Cs, per esempio, può essere in taluni suoli lisciviato alla velocità media di 1 cm/a (op. cit.), venendo così a trovarsi dopo soli 50 anni dalla contaminazione in concentrazioni apprezzabili alla profondità di 1 m.

            L’identificazione di suoli incontaminati simili a quelli in oggetto di studio può sembrare il metodo migliore per determinare la distribuzione litogenica di un elemento attraverso il profilo del suolo, in quanto il metodo tiene conto dei processi naturali che ne determinano l'ineguale distribuzione attraverso il profilo. Recenti studi  hanno messo in luce che il metodo è più difficoltoso di quanto in prima analisi si potrebbe essere indotti a ritenere e può per alcuni elementi risultare assai fuorviante. Per il Pb, per esempio, la cui composizione isotopica permette di scorporare l’elemento litogenetico da quello antropico, sono state registrate concentrazioni di elemento antropico di alcuni ordini di grandezza superiori al contenuto litogenetico anche in aree lontane centinaia di km dalla più vicina sorgente di inquinamento (Shirata H., Elias R.W. e Patterson C. C., 1980. Alloway B.J., 1997. Salomons W. e Förstner U., 1984). Le elevate deposizioni atmosferiche registrate in aree lontane centinaia di km da sorgenti inquinanti, i rilevamenti condotti nelle campagne dei paesi industrializzati (Bertelsen B.O., et al. 1995, Davies B.E., 1997) e il contenuto di Pb presente nelle carote di ghiaccio artico suggeriscono che la maggior parte del Pb misurato nei suoli dell’emisfero nord sia di origine antropica. Ipotesi che sembra confermata dall’osservazione che il fattore di arricchimento del Pb nel suolo rispetto alla roccia madre osservata mostra un progressivo aumento nel corso di questo secolo da 0,8 in Russia nella prima metà del ‘900 (Vinogradov A. P., 1959) a 1.4 negli anni ‘80 nel Nord America (Shacklette H. T. e Boerngen J. G.). Elevate concentrazioni di Pb antropico si osservano anche in carote provenienti da bacini lacustri, la cui datazione indica che la deposizione del Pb al suolo ha inizio nella prima metà del ‘700 in Inghilterra (Farmer J. G. e Eades L.J., 1996) e nella seconda metà dell’800 in Nord America (Shirata H., Elias R.W. e Patterson C. C., 1980), presumibilmente sia a causa della combustione del carbone, che al progressivo aumento delle attività siderurgiche connesse all’industrializzazione.. L’inquinamento del suolo da Pb è pertanto un fenomeno che interessa quantomeno tutto l’emisfero settentrionale, e in nessun’area dei paesi industrializzati dell’emisfero nord, per quanto remota, è quindi possibile rinvenire suoli che non siano sensibilmente contaminati dai quali poter quindi ricavare la concentrazione litogenica dell’elemento attraverso il profilo. Per un numero indefinito di elementi, quali Cd, Zn, Cu, As, Bi, Sb  che sono associati ai solfuri e che come il Pb sono mobilizzati nel corso dell’estrazione, delle attività siderurgiche, industriali ed agricole in quantità complessive comparabili a quelle mobilizzate dai processi geologici, è quantomeno plausibile attendere una analoga contaminazione globale, tale da rendere vana la ricerca di profili di suolo sicuramente incontaminati.

            Nella presente ricerca la determinazione della concentrazione litogenica degli elementi in traccia è stata determinata mediante un modello geochimico. Il modello adottato si basa su 4 assunti:

 

1)         il sedimento morenico sul quale si sviluppano i suoli studiati è costituito da un miscuglio omogeneo di detriti litoidi e minerali ablasi dalle rocce che affiorano nell’area coperta dal ghiacciaio che ha deposto la morena;

2)         la concentrazione dell’elemento in traccia nelle rocce nell’area di studio è normale, ovvero uguale alla composizione media di rocce simili raccolte in tutto il mondo;

3)         il contributo di un litotipo affiorante nell’area interessata dall’esarazione glaciale nel determinare la composizione della morena è direttamente proporzionale alla relativa superficie di affioramento;

4)         i processi pedogenetici in atto nell’area di studio non hanno determinato né un arricchimento né un impoverimento dell’elemento nel profilo dei suoli.

 

            Seguendo questi assunti la concentrazione dell’elemento in traccia nel suolo è stata quindi stimata uguale a alla concentrazione media dell’elemento nelle affioranti nell’area ponderata per la rispettiva superficie di affioramento.

            Il modello adottato per stimare la concentrazione litogenetica dei suoli di Villadossola è uguale a quello impiegato per la determinazione della composizione della crosta superiore, essendo questa supposta essere uguale alla composizione delle morene deposte dai ghiacciai continentali, che in quanto tali, hanno ablaso e miscelato un campione rappresentativo delle rocce della crosta superiore. Questa stima fornisce in verità risultati in buon accordo con quelle effettuate per vie indipendenti dimostrandosi sufficientemente accurata per gli scopi proposti (D’Amico C. et al., 1989). L’applicazione del modello geochimico proposto trova ovviamente la ragione d’essere nella origine dei sedimenti sui quali si sviluppano i suoli. Questi sono infatti di origine glaciale e sono il frutto dell’ablazione e del trasporto su distanze di chilometri (Villadossola) delle particelle distaccate dalla roccia madre ad opera dei ghiacciai che nel Pleistocene inferiore coprivano il bacino di afferenza.

            Il metodo di stima adottato presenta tuttavia alcuni limiti. Innanzi tutto trascura la azione di differenziazione del sedimento di origine glaciale operata dallo scorrimento delle acque superficiali. Nel corso dell’Olocene le acque superficiali hanno infatti agito ridistribuendo sulla superficie topografica i granuli minerali presenti nel suolo in funzione del loro diametro, della densità e della pendenza della superficie topografica. È per contro ragionevole ritenere che l’effetto del rimodellamento superficiale delle acque, più che spostare il valore medio osservato dal valore della concentrazione litogenica vera, abbia l’effetto di distribuire la concentrazione litogenica dell’elemento attorno al suo valore medio originario. Come già visto, il modello trascura inoltre l’effetto che i processi pedogenetici hanno nel ridistribuire gli elementi in modo difforme attraverso gli orizzonti del suolo.

            Il modello adottato presenta infine il limite di essere valido a descrivere la composizione della roccia madre quale è determinata da una digestione completa del suolo. Nella determinazione del contenuto totale degli elementi in traccia considerati si è impiegata al contrario l’acquaregia. L’acquaregia dissolve la sostanza organica, gli idrossidi, i carbonati, i solfati, fosfati, i solfuri, i serpentini e solo parzialmente le argille e i Fillosilicati (Page A.L., Miller R.H., e Keney D.R. Eds, 1982). L’elemento occluso nella maggior parte dei minerali primari silicatici e in alcuni spinelli primari non è dissolta dall’attacco in acquaregia. E’ pertanto lecito concludere che il modello geochimico adottato per determinare il contenuto litogenetico dei metalli pesanti comporti per quegli elementi che sono inclusi nei reticoli dei minerali inattaccabili all’acqua regia una sottostima della concentrazione litogenica.

 

         3.7.   Determinazione della concentrazione antropica dell’elemento.  

            La determinazione antropica dell’elemento dovrebbe essere calcolata come semplice differenza tra l’elemento totale e quello litogenico. In realtà, come discusso nel paragrafo precedente, la determinazione della concentrazione litogenica dell’elemento estraibile in acquaregia è difficoltosa e risente molto della composizione mineralogica della roccia madre e dell’evoluzione pedogenetica del suolo (Whedepohl K.H., 1969. Vinogradov A.P., 1959. Sequi P., Ed., 1986). La valutazione della concentrazione antropica dell’elemento è così stata effettuata con due metodi diversi negli Entisuoli della Valle d’Ossola e nel Glaysol della Scozia.

            Nel Glaysol  di Cliland, fortemente lisciviato, è stato assunto seguendo Page et al. (1982) che l’elemento estraibile dall’acquaregia costituisca prevalentemente l’elemento antropico, mentre l’elemento litogenico sia per lo più occluso nei minerali silicatici non dissolti dall’acquaregia.

            Nei suoli di Villadossola, che si sviluppano sui sedimenti di un bacino imbrifero sede di un corposo campo minerario, la concentrazione antropica è stata stimata essere uguale alla differenza tra la concentrazione totale ed il valore minore tra la concentrazione litogenica stimata con il modello geochimico e la concentrazione osservata nello strato più profondo di suolo.  Il metodo di stima adottato per i suoli di Villadossola trova la sua giustificazione nell’osservazione che la concentrazione totale degli inquinanti nei suoli non disturbati dalle lavorazioni agricole tende a diminuire con la profondità fino e ad approcciare a profondità superiori ai 20 cm la concentrazione litogenica stimata.

 

         3.8.   Determinazione della velocità di lisciviazione degli inquinanti.

            3.7.1. Scelta del modello.

            Come è noto, la lisciviazione degli inquinanti attraverso la zona non satura può essere descritta da una numerosa gamma di modelli sia fisici che matematici (Feddes R.A. et al., 1988). Prima di esporre il modello adottato nella presente ricerca e discuterne le caratteristiche è pertanto opportuno valutare criticamente le caratteristiche dei principali modelli riportati in letteratura.

            La lisciviazione degli inquinanti attraverso la zona non satura può essere descritta da una famiglia di modelli fisici nota con il nome collettivo di modelli “cromatografici advettivo-diffusivi”. Questi modelli nel descrivere la lisciviazione possono prendere in considerazione una vasta gamma di combinazioni di processi fisici fondamentali quali la diffusione, l’advezione, l’adsorbimento, la comparsa o la scomparsa per decadimento dell’inquinante, l’assimilazione da parte dei vegetali, le reazioni di complessazione ed adsorbimento che hanno luogo nella soluzione circolante. Questi modelli, in dipendenza della loro complessità, per descrivere la lisciviazione dell’inquinante necessitano la determinazione di numero variabile di proprietà del suolo e dell’elemento, quali la porosità, la permeabilità, la tortuosità del suolo, le isoterme di adsorbimento sui siti di scambio del mezzo poroso, le precipitazioni, l’infiltrazione efficace, l’evapotraspirazione, il coefficiente di diffusione dell’inquinante nella soluzione circolante, la composizione della fase fluida, la densità volumica delle radici, la traspirazione, nonché le leggi che regolano la comparsa o il decadimento dell’elemento.

            Alcuni dei modelli cromatografici diffusivo-convettivi più sofisticati, quali è GEOCHEM (Lichtner P.C., 1988), non si limitano a considerare il sistema suolo-soluzione come un sistema chimico in stato di equilibrio, bensì lo considerano un sistema in equilibrio cinetico. Questi modelli  considerano pertanto le cinetiche delle reazioni che in esso avvengono, tra le più importanti delle quali vi è la dissoluzione dei minerali primari, la precipitazione di minerali secondari o l’accumulo e l’ossidazione della sostanza organica. Come dimostrato da prove di terreno questi modelli  descrivono efficacemente la migrazione degli elementi attraverso il suolo e le forme che assumono oltreché nei tempi di interesse prettamente pedologico anche su quelli geologici. Tali modelli, per quanto estremamente interessanti ed utili, sono estremamente complessi, e per essere applicati richiedono la conoscenza di tutte le reazioni che avvengono nel sistema considerato, delle costanti chimiche che le descrivono e di una approfondita caratterizzazione delle fasi che compongono il sistema studiato nelle sue condizioni iniziali. L’applicazione di questi modelli risulta così ardua, o, quando non si dispongono delle appropriate costanti chimico-fisiche, impossibile.

            Esistono comunque modelli cromatografici convettivo-diffusivi assai più semplici e pur sempre efficaci a descrivere la lisciviazione degli inquinanti. Tra i più semplici modelli cromatografici advettivo-diffusivi applicati con successo in condizioni di terreno si cita quello sviluppato da Konshin O. V. (1982). Il modello di Konshin descrivere la lisciviazione degli inquinanti prendendo in considerazione i processi chimico-fisici dell’adsorbimento, dell’advezione, della diffusione e della dispersione. L’equazione differenziale che descrive la lisciviazione dell’inquinante è espressa dalla legge di Fick  nello spazio monodimensionale:

 

dC(x,t)/dt = D·(d2C/dx2) - V·(dC/dt)

dove

 

V = velocità di lisciviazione dell’inquinante nel mezzo poroso quale determinata dalla percolazione delle acque e dall’adsorbimento dell’inquinante sulle superfici del mezzo poroso;

D = la costante che esprime i fenomeni della diffusione e della dispersione;

C(x,t) = concentrazione dell’inquinante al tempo t nel punto x;

 

La soluzione dell’equazione di Fick per le condizioni al contorno

 

(t=0 & x=0) C(0,0)=C0

 

 trovata da Konshin è:

 

 (C/C0)x,t = 1/[2·(·D·t)0,5] exp [-(x-V·t)2/(4·D·t)]

 

            Il modello di Konshin descrive la lisciviazione dell’inquinante attraverso il suolo come una gaussiana che si sposta alla velocità V e la cui deviazione standard aumenta alla velocità D·t (F371-1).

            L’applicazione del modello di Konshin al suolo inquinato da 137Cs  permette di osservare che la velocità V con cui l’inquinante è lisciviato non è costante attraverso il profilo, ma aumenta con la profondità (op. cit.). Mediante opportune interpolazioni è possibile trovare un’equazione che esprime la variazione di V e D con la profondità. A loro volta V e D possono essere messe in relazione alle proprietà chimico-fisiche del suolo, permettendo così di evincere i meccanismi ed i processi della lisciviazione. L’applicazione del modello di Konshin allo studio della lisciviazione degli inquinanti è uno strumento che fornisce utili informazioni. La sua applicazione alla determinazione delle proprietà

 


 


Figura 371-1. Lisciviazione degli inquinanti secondo il modello di Konshin.

 


 


Figura 371-2. Lisciviazione degli inquinanti secondo il modello di Ropolo, Bonazzola e Facchinelli.

 


del suolo che determinano la velocità di lisciviazione è comunque difficoltosa in quanto richiede lo sviluppo di un opportuno programma di calcolo che permettano di calcolare come V e D variano attraverso il profilo e come queste sono in relazione alle proprietà del suolo.

            Recentemente per descrivere la mobilità degli inquinanti è stata proposta l’applicazione di modelli appartenenti alla famiglia dei modelli matematici a serbatoi e flussi. Tali modelli matematici hanno già trovato impiego nello studio della perturbazione antropica dei cicli biogeochimici (Lasaga A. C., 1980. Whitfield M, 1981. Lerman A. e Mackenzie F.T., 1975), nella valutazione dell’impatto sanitario determinato dalla contaminazione dei suoli (Sheppard S.C., 1995. Zach R. e Sheppard S. C., 1991) e della lisciviazione degli inquinanti (Poelstra P. e Frissel M.J., 1967. Bonazzola G. C., Ropolo R. e Facchinelli A., 1993).

            Il modello a serbatoi e flussi impiegato da Bonazzola G. C. et al. (1993) descrive la lisciviazione dell’inquinante attraverso la determinazione empirica di una sola costante K caratteristica del profilo considerato (F371-2):

 

S(n,t) = e(-K·t) · (m=0m=n) S(m,0)·[k·t](n-m)·[(n-m)!]-1

 

Dove:

 

S(m,0) = la concentrazione dell’inquinante nello strato numero m al tempo t=0;

K = la costante cinetica del rilascio da un serbatoio al sottostante;

t = tempo intercorso dalla contaminazione.

 

.           La costante empirica K che descrive la lisciviazione dell’inquinante attraverso il profilo è la cinetica del rilascio da uno strato di suolo al sottostante K che meglio interpola il profilo osservato. Il limite del modello adottato è che descrive il fenomeno della lisciviazione nei termini di una sola costante che riassume empiricamente i processi di advezione e dispersione, e non permette di determinare quali proprietà del suolo influiscono rispettivamente su questi due fenomeni. Infine il modello descrive la velocità di lisciviazione con costante cinetica del rilascio mediata sull’intero profilo e non permette pertanto di apprezzare come la velocità di lisciviazione varia di strato in strato nel singolo profilo e di trovarne le relazioni con le proprietà chimico-fisiche come il modello di Konshin rende possibile. Il vantaggio del modello a serbatoi e flussi  rispetto al modello cromatografico advettivo-diffusivo di Konshin è che per descrivere la velocità di lisciviazione necessita del campionamento di un numero limitato di strati di suolo. Esso può essere applicato quando nel corso di

 


 

Figura F372-1. Il modello a serbatoi e flussi ad n costanti.

                      

 


 

un rilevamento di un’area inquinata si campionano per ogni suolo anche due strati soltanto, nel qual caso si determina la costante K del solo primo. Esso può quindi essere applicato anche nel corso di rilevamenti, quale quello presentato in questo studio, dove il numero di campioni da raccogliere è limitato dai costi economici e dev’essere distribuito su un’ampia superficie.

           

 

3.7.2.   Sviluppo del modello.

            Per sviluppare il modello si assume che il profilo del suolo sia assimilabile ad una serie di Sn strati, o serbatoi (F372-1), sufficientemente piccoli da poter essere considerati omogenei da un punto di vista delle proprietà chimico-fisiche macroscopiche quali la porosità, la densità, il contenuto in sostanza organica, le proprietà del complesso di scambio, assunzione tanto più valida quanto le dimensioni dei serbatoi tendono ad essere piccole. Il serbatoio del profilo, S0, è ipotizzato essere soggetto ad una deposizione meteorica I di inquinante. Il flusso di inquinante Fn che passa da un serbatoio Sn al sottostante Sn+1 è, assunto essere direttamente proporzionale alla concentrazione dell’inquinante nel serbatoio Sn:

 

Fn = Kn · Sn-1

 

La migrazione dell’inquinante attraverso il profilo del suolo è così descritta da una serie di n equazioni differenziali:

 

1)         dS0/dt = I - K0·S0

         2)      dS1/dt = K0·S0 - K1·S1

         3)      dS2/dt = K1·S1 - K2·S2

                            ···

         n)      dSn/dt = S(n-1)·K(n-1) - Kn·Sn

 

Il sistema di equazioni differenziali che descrive l’evoluzione dell’inquinante nel tempo attraverso il profilo secondo il modello a serbatoi e flussi è un sistema di equazioni differenziali lineari omogenee risolvibile. La soluzione generale del sistema può essere espressa nella forma ricorsiva:

 

 

 

S(1,t) = I/K(1) - (I/K(1) - S(1,0))exp (-K(1) t)

S(n,t) = I/K(n) + [(m=1m=n) (K(n-1)/K(n)-K(m))·A(m,n-1)exp(-K(m)·t)] -

- [I/K(n) - S(n,0) + (m=1m=n) (K(n-1)/(K(n)-K(m))·A(m,n-1)]exp(-K(n)t)

 

dove:

 

A(1,1) = S(1,0) - I/K(1)

A(m,n) = [S(n,0) - I/K(n) - (m=1  m=n) (K(n-1)/(K(n)-K(m))·A(m,n-1)]exp(-K(n)·t)

I = immissione antropica nel primo strato di suolo;

S(n,0) = concentrazione dell’inquinante nel serbatoio n al tempo zero;

S(n,t) = concentrazione dell’inquinante nel serbatoio n al tempo t:

 

            Secondo il modello proposto, la lisciviazione dell’inquinante dal serbatoio Sn è descritta da una specifica costante cinetica Kn del primo ordine. La costante Kn può essere determinata con procedimenti numerici, quando è nota la deposizione meteorica I, il contenuto dell’inquinante nel serbatoio n al tempo zero S(n,0) ed il contenuto dell’inquinante nel serbatoio n al tempo t, S(n,t).

 

         3.7.3. Il significato matematico, chimico e fisico del modello a serbatoi e flussi.

            La costante Kn in termini rigorosamente propri della modellistica è una costante empirica di un modello matematico, che in quanto tale, simula il fenomeno della lisciviazione per analogia con il fenomeno da descrivere, ma senza essere in relazione con i meccanismi chimico-fisici che lo determinano. Nel limite imposto da alcune approssimazioni, si può dimostrare che essa è strettamente legata ad alcuni particolari fenomeni fisici ed alcune particolari proprietà chimiche del suolo.

            La costante Kn, è, per definizione, la frazione di inquinante che abbandona lo strato Sn nell’unità di tempo. Essa pertanto può essere considerata avere lo stesso significato di una costante di una cinetica di decadimento del primo ordine. L’assunzione che l'allontanamento di un inquinante da uno strato di suolo obbedisca ad una cinetica del primo ordine è ragionevole quando la velocità con cui l’inquinante diffonde e si omogeneizza all’interno dello strato è molto maggiore rispetto a quella con cui ne è allontanato. La cinetica con cui l’inquinante esce dal serbatoio Sn è infatti esattamente uguale a quella che descrive l’uscita di una specie chimica da un matraccio mantenuto omogeneo da un agitatore magnetico nel quale si ha in entrata un piccolo flusso F l/s di acqua deionizzata ed un uguale flusso F l/s in uscita di acqua contaminata. Tra i processi pedologici che tendono ad omogeneizzare l’inquinante all’interno di uno strato di suolo si possono ragionevolmente annoverare la diffusione dell’inquinante all’interno della soluzione circolante che riempie i pori del suolo in occasione delle piogge e dei successivo periodo in cui il suolo permane umido, la periodica inversione del flusso d’acqua che attraversa la sezione di suolo quale risultato dell’andamento climatico e stagionale delle temperature, delle precipitazioni ed dell’evapotraspirazione, nonché, infine, la bioturbazione operata da organismi animali e vegetali.

 

            3.7.3. Velocità di lisciviazione.

            La costante Kn può essere utile per stimare approssimativamente la velocità di lisciviazione media attraverso lo strato Sn di spessore h. Infatti se nello strato Sn è mantenuto chimicamente omogeneo dai processi pedogenetici, se nell’intervallo di tempo dt percola la frazione di inquinante Kn , e tutti gli atomi di inquinante hanno la stessa velocità di lisciviazione media Vn, allora la velocità di traslocazione media attraverso lo strato sarà:

 

Vn  Kn · hn

 

            3.7.3.2.         Tempo di semisvuotamento.

Dalla costante cinetica Kn dello svuotamento dello strato di suolo Sn per analogia con le cinetiche di decadimento del primo ordine si può facilmente calcolare il tempo di semisvuotamento del serbatoio Sn, una costante analoga al tempo di dimezzamento delle cinetiche chimiche del primo ordine:

 

t(1/2)n = ln2·Kn-1

 

            t(1/2)n è un parametro empirico efficace nel riassumere la velocità di lisciviazione di un inquinante da uno strato di suolo, in quanto indica il tempo necessario affinché la sua concentrazione si dimezzi.

 

3.7.3.4. Tempo di residenza.

Il tempo di residenza Trn di un elemento nel serbatoio Sn è definito come il rapporto tra la quantità di elemento immagazzinata nel serbatoio ed il flusso in uscita Kn*Sn. Il tempo di residenza Trn è pertanto uguale al reciproco della costante Kn.


4.

RISULTATI

         4.1.   I Suoli.

            Per comprendere la sorte degli elementi in traccia che raggiungono il suolo è necessario considerare l’ambiente chimico in cui si vengono a trovare e le reazioni a cui prendono parte. Queste dipendono ovviamente dalle proprietà chimico-fisiche dei suoli, dai processi pedogenetici in atto e degli effetti che l’attività antropica ha nel modificare il pedoambiente. Vengono illustrate e discusse le proprietà chimico-fisiche dei suoli, riservando particolare attenzione a quelle reazioni e a quei processi cui sono soggetti Pb, Cd, Zn, Cu, Cr, Bi, As ed Sb, e che ne possono determinare l’entità del trasferimento entro la biomassa vegetale e la lisciviazione verso la falda.

            Le proprietà chimico-fisiche di un suolo sono condizionate sia dalla storia quaternaria del sedimento su cui il suolo evolve sia dall’uso che del suolo è fatto. Caratteristiche geomorfologiche ed uso del suolo, nell’area di Villadossola, sono strettamente legate. E’ ragionevole pertanto supporre che le proprietà chimico-fisiche del suolo siano differenti nelle diverse unità geomorfologiche distinte nel corso del campionamento e che la lisciviazione, la biodisponibilità, o, genericamente parlando, la vulnerabilità del suolo all’inquinamento da metalli pesanti sia significativamente differente nelle diverse unità.

            L’osservazione di una vulnerabilità del suolo all’inquinamento significativamente diversa in rapporto alla geomorfologia ed all’uso del suolo può permettere una più corretta gestione del territorio, minimizzando gli effetti dell’inquinamento e permettendo una migliore tutela della salute pubblica.

 

4.1.1. Profili pedologici.

            Come è noto  le proprietà chimico-fisiche del suolo possono essere considerate il risultato dei processi pedogenetici quali determinati dai fattori pedogenetici sintetizzati dall’equazione di Jenny (Violante P. 1986):

 

Suolo = f (roccia madre, tempo, topografia, clima, vegetazione, antropizzazione)

 

 . Nella discussione che segue la descrizione dei profili particolare riguardo è dato all’analisi di come le

 


 


Tabella T411-1. Principali proprietà chimiche e fisiche attraverso i profili pedologici.

 

 


 

Tabella T411-2. Elementi maggiori totali nei profili pedologici.



 

Tabella T411-3. Elementi in traccia totali nei profili pedologici.



Tabella T411-4. Metalli pesanti estratti dl reagente di Lakanen.

 

 


diverse caratteristiche osservate nei profili pedologici siano il risultato della diversa intensità con cui hanno agito i fattori ed i connessi processi pedogenetici. La scelta di questo schema di discussione trova la sua ragione nel presupposto che il metallo inquinante una volta raggiunto il suolo ne entri a far parte del sistema chimico, si misceli all’elemento litogenico e di questo segua il comportamento secondo l’effetto che i fattori e i processi in atto determinano. Le principali proprietà chimiche e fisiche dei profili pedologici sono riportate nelle tabelle T411-1, T411-2, T411-3 e T441-4.

 

Profilo FAPA1.

            Il profilo è stato raccolto nella contea di Cliland, Glasgow Scozia, sulla sommità pianeggiante di un Drumlins alto una trentina di metri e lungo diversi hm. La roccia madre su cui si sviluppa il suolo  è un deposito glaciale lasciato all’inizio dell’Olocene (10000 anni fa) dal ritiro del ghiacciaio flandriano.  La giacitura immerge di circa il 5% in direzione S-S-W. La carta pedologica del Regno unito lo classifica come Glaysol.

 

Orizzonte O, 0-5 cm. Colore umido bruno scuro, associato dall’accumulo di spoglie organiche. La densità dell’orizzonte è molto bassa. Le radici delle foraggiere formano un feltro pressoché continuo, la struttura del suolo è poliedrica irregolare, con aggregati sub-centimetrici cementati dalla sostanza organica e dalle radici delle foraggiere. L’orizzonte O deve la sua formazione all’impostazione del prato permanente avvenuta nel 1984, quando il prato permanente è succeduto all’orzo. Il contenuto di argilla dell’orizzonte è sensibilmente superiore a quello del sottostante, suggerendo un tasso di formazione delle argille del 1,3% all’anno. Il limite con l’orizzonte inferiore è lineare e sfumato.

Orizzonte Ap, 5-25 cm. Il colore del suolo umido è bruno-giallo. Il contenuto di sostanza organica dell’orizzonte Ap è inferiore a quello dell’orizzonte organico e decresce esponenzialmente con la profondità. Alla diminuzione del contenuto di sostanza organica si accompagna la diminuzione dell’attività biologica, rappresentata dalle radici delle foraggiere e dagli anellidi. La struttura del suolo è poliedrica irregolare, con aggregati cementati dalla sostanza organica e dalle radici che raggiungono dimensioni centimetriche.  Lo scheletro presente nell’orizzonte è costituito da granuli monominerali di quarzo fortemente arrotondati e segnati dalla corrosione chimica. A causa delle lavorazioni agricole la distribuzione  dello scheletro attraverso l’orizzonte è fortemente disomogenea. Il limite con l’inferiore sottostante è netto e lineare, segnato dalla soletta di aratura.

Orizzonte Ae, 25-40 cm. Il colore del suolo umido è giallo-bruno, indice della precipitazione di idrossidi di Fe. Il contenuto di sostanza organica e l’attività biologica sono modeste, e decrescono attraverso l’orizzonte. La struttura è poliedrica regolare, gli aggregati sono rivestiti di “cutens”, pellicole di minerali argillosi isoorientati, indice della traslocazione delle argille dall’orizzonte soprastante. Il contenuto di argilla dell’orizzonte Ae è inferiore a quello degli orizzonti sopra- e sottostanti ed aumenta esponenzialmente con la profondità.

Orizzonte Bt, 40-45+ cm. Il colore del suolo umido è rosso scuro, attraversato da screziature verdastre, indici di precipitazione di ossidi di ferro e condizioni riducenti. Il contenuto di argille è molto elevato. La struttura è poliedrica regolare prismatica. Gli aggregati prismatici sono ricoperti da pellicole isoorientate di argille,, indice della illuviazione di questa frazione tessiturale dall’orizzonte soprastante. L’orizzonte ha un’elevatissima umidità relativa. L’attività biologica è bassissima, rappresentata da rarissimi di dimensioni millimetriche.

 

Profilo FAOS19.

            Il profilo è ubicato su una spalla glaciale del versante destro della valle, con pendenza del 10% circa. L’esposizione è a ESE. Il suolo è sviluppato sul deposito colluviale impiegato nel terrazzamento agricolo del versante, ben preservato ed in uso. In passato l’appezzamento, come alcuni campi limitrofi, per l’idoneo microclima testimoniato da specie xerofile (fico d’india) in stato di deficit idrico, ha ospitato la coltura della vite, ma al momento del campionamento è destinato a prato permanente sfalciato.

 

Orizzonte A1, 0-10 cm. Colore del suolo umido 10YR 3/3 (marrone scuro). Lo scheletro è scarso e la tessitura sabbiosa (95%), con prevalenza di quella fine (78%). La struttura è poliedrica irregolare, a scala millimetrica, moderatamente resistente. I singoli poliedri sono riuniti in fragili aggregati centimetrici dalle radici delle foraggiere pratensi. Il suolo è poco addensato, molto poroso e di bassa densità. L’attività biologica è elevata e sono abbondantemente presenti le radici fini e i peli radicali. Il limite con l’orizzonte sottostante è diffuso e ondulato.

Orizzonte A2, 10-30 cm. Colore umido 10YR 3/4 (giallastro scuro). Lo scheletro è comune e grossolano, la tessitura è sabbiosa (95%). La struttura è poliedrica sub-angolare, con aggregati che talvolta raggiungono dimensioni di 2-3 cm, moderatamente consistenti. L’attività biologica è media e sono comuni le radici delle foraggiere, che raggiungono i 2 mm di diametro. La porosità e la densità è sono medie. Il limite con l’orizzonte sottostante è graduale e ondulato.

Orizzonte B1, 30-50 cm. Colore del suolo umido 10YR 3/4 (giallastro scuro). La frazione scheletrica è poco rappresentata e prevalentemente composta dagli elementi fini. La tessitura è sabbiosa (91%). La struttura è simile a quella dell’orizzonte sovrastante, poliedrica sub-angolare con aggregati di dimensioni di 2-3 cm di diametro, moderatamente consistenti. L’attività biologica è simile a quella dell’orizzonte soprastante, dove sono comuni le radici di diametro millimetrico. La porosità e la densità sono medie. Il limite con l’orizzonte inferiore è diffuso e discontinuo.

Orizzonte B2, 50-60+ cm. Il colore del suolo umido è 5YR 4/4 (rossastro marrone). Come nell’orizzonte B1 lo scheletro è poco rappresentato ed è principalmente costituito dai termini più fini. Simile è inoltre la tessitura, la densità e la porosità. Sensibilmente inferiore è l’attività biologica in quanto sono visibili solo poche radici.

 

Profilo FAOS20.

            La stazione di campionamento è ubicata sul versante sinistro della valle, su una spalla glaciale. La giacitura dell’appezzamento è sub-pianeggiante e l’esposizione è WNW. L’appezzamento è relativamente poco soleggiato e fresco. L’appezzamento campionato faceva parte di un terrazzamento destinato alla coltivazione della vite. Attualmente il campo è in stato di abbandono ed è in corso un processo di riforestazione spontanea che ha condotto alla formazione di un giovane bosco misto, favorito da un idoneo microclima umido, a prevalente pino, castagno e larice. Sotto la copertura arborea che intercetta una buona frazione dei raggi solari cresce l’erica, alla quale si deve l’accumulo di una spessa lettiera.

 

Orizzonte O, 0-5 cm. Orizzonte organico costituito nei primi millimetri di spessore da spoglie organiche indecomposte, principalmente foglie di erica e di castagno, e nello spessore sottostante da residui organici progressivamente decomposti. Lo scheletro è assai poco rappresentato e la tessitura è sabbiosa (93%) con prevalenza della frazione grossolana (71%). La sostanza organica ammonta al 35% e l'orizzonte ha una densità molto bassa. L’attività biologica è principalmente determinate dalle ife fungine in quanto le radici sono assenti. I limite con l’orizzonte sottostante è netto e lineare.

Orizzonte A1, 5-35 cm. Colore del suolo umido 7.5YR 3/4 (marrone scuro). E’ abbondante lo scheletro minuto, la tessitura è sabbiosa e principalmente composta dalla frazione fine. La struttura è granulare, con granuli che raggiungono dimensioni di 5 cm, fragili, cementati dalle ife fungine. Il suolo è poroso e poco addensato. La sostanza organica è abbondante e in parte costituita da spoglie organiche indecomposte. L’attività biologica è elevata, e accanto alle radici ed ai peli radicali si osservano ife fungine. Il limite con lo strato sottostante è graduale ed ondulato.

Orizzonte A2, 35-60 cm. Colore del suolo umido 5YR 3/2 (marrone rossastro scuro). Abbondante scheletro da fine a medio, tessitura sabbiosa con prevalenza di quella fine. Struttura granulare irregolare, a grana singola, con aggregati di dimensioni millimetriche. Porosità e densità medie. Modesta attività biologica, determinata prevalentemente da scarse radici millimetriche. Non sono visibili ife fungine. Il limite con l’orizzonte sottostante è diffuso e ondulato.

Orizzonte C, 55-60+ cm. Colore del suolo umido 7.5YR 4/6 (marrone intenso). Scheletro molto abbondante, con clasti a spigoli vivi che raggiungono un diametro di alcuni cm. Tessitura sabbiosa, con prevalenza della frazione grossolana (56%). Non sono evidenti aggregati, il suolo è sciolto ed i singoli granuli minerali sono ben separati. Il contenuto di sostanza organica è basso e la densità è elevata. Attività biologica molto bassa, radici assenti.

 

Profilo FAOS7

            Il suolo è ubicato sulle alluvioni di fondovalle e ha quindi giacitura pianeggiante. Il sedimento su cui si sviluppa il suolo è costituito da lenti di sabbie fini e ciottoli deposte dalle alluvioni del fiume Toce. L’appezzamento è destinato all’avvicendamento del prato con le colture cerealicole.

Orizzonte A, 0-10 cm. Il colore del suolo umido è 10YR 3/2, (grigiastro marrone molto scuro).Il suolo è privo di scheletro e molto sabbioso (91% di sabbia) e privo di plasticità. La porosità è elevata e, a eccezione di aggregati cementati dalle radici fini, il suolo è privo di struttura. L’attività biologica è molto elevata, e si osservano molto abbondanti le radici e i peli radicali delle foraggiere pratensi. Il limite con l’orizzonte sottostante è netto.

Orizzonte AC, 10-20 cm. Il colore del suolo umido è 10YR 5/2, (grigiastro marrone) con screziature 7.5YR 4/6 (marrone intenso). Lo scheletro è poco abbondante. La tessitura è più ricca in sabbia dell’orizzonte A (96% contro 91%) e più povera in frazione fine (3,8 contro il 3,2%). Le sabbie, il principale costituente tessiturale, sono più addensate che nell’orizzonte superficiale. Sono evidenti aggregati poliedrici irregolari a grana singola molto deboli. L’attività biologica è modesta e si osservano poco abbondanti radici fini. Il limite inferiore dello strato è netto, e corrisponde alla suola di lavorazione.

Orizzonte C, 20-35+ cm. Il colore è 2,5Y 5/2 (grigiastro marrone). Lo scheletro è abbondantemente rappresentato. Esso è costituito da ciottoli eterodiametrici addensati con diametro superiore ai 3 cm. La sabbia grossa è la principale componente tessiturale della frazione fine. Limo ed argilla sono pressoché assenti. L’attività biologica è molto scarsa, ed è principalmente costituita da radici di qualche millimetro di diametro.

 

                        4.1.2. Fattori di formazione del suolo

            La composizione chimica e mineralogica della roccia madre su cui si sviluppano i suoli è in prima approssimazione simile per tutti i suoli campionati, essendo essa costituita da un deposito morenico di età olocenica, prodotto dall’esarazione di settori crostali ampi diverse decine (Villadossola) o centinaia (Cliland) di Km (Villadossola). Il fattore tempo è anch’esso approssimativamente lo stesso per la Scozia e l’Italia, essendo in entrambe i casi la roccia madre costituita da una morena deposta 10000 anni fa. Poco è noto sulla vegetazione che si è sviluppata sui suoli considerati. E’ ragionevole ritenere che con il procedere della deglaciazione determinata dalla precessione dell’asse di rotazione terrestre si siano succedute, con un certo sfasamento determinato dalla latitudine, biocenosi tipiche del deserto artico, della taiga, della tundra, foreste di conifere ed infine di latifoglie. In tempi storici più o meno recenti le foreste infine sono state tagliate ed i suoli, antropizzati, destinati all’agricoltura e all’uso residenziale. Ricostruire con maggior dettaglio l’evoluzione della vegetazione sui suoli considerati e se questa abbia determinato le proprietà del suolo che sono oggi osservate, per quanto affascinante, esula dagli scopi della presente indagine. Quanto si osserva dell'attività biologica è l’uso recente del suolo: prati in rotazione agricola con colture cerealicole (FAOS21), prati permanenti sfalciati (FAOS19, FAPA1) e suoli sviluppati sotto bosco (FAOS20). La vegetazione che si sviluppa sul suolo ha un ruolo notevole nel determinare l’accumulo di sostanza organica osservato. Il suolo scozzese ed il suolo italiano si differenziano nettamente per il fattore tettonico. Diverso è l’ambiente geotettonico su cui si sviluppa il suolo scozzese ed il suoli italiano. Il profilo di Cliland è ubicato su un settore crostale soggetto ad un lento sollevamento eustatico, stimato in ragione di 1-4 mm/a (Cameron B.I. e Stephenson D., 1985), mentre i suoli di Villadossola sono ubicati sull’arco alpino, dove la velocità di sollevamento e di erosine sono stimate nell’ordine di grandezza del cm/a. La differente velocità di erosione è un fattore che contribuisce a spiegare la grande differenza nel contenuto di argille del suolo scozzese e dei suoli di Villadossola. I suoli di Villadossola sono ricchi in scheletro e sabbia costituite da frammenti litici o di minerali facilmente alterabili come serpentino e feldspati, e sono poveri in limo e argille ad indicare un limitato sviluppo pedogenetico. Il basso contenuto di argille dei suoli di Villadossola è la conseguenza  dall’elevata energia di scorrimento delle acque superficiali. Tuttavia l’erosione selettiva delle argille e del limo spiega le differenze tessiturali tra i suoli di Villadossola ma non è un processo che da solo possa spiegare le differenze tessiturali, mineralogiche e strutturali tra il suolo scozzese ed i suolo alpino, in parte attribuibile alle differenti condizioni climatiche. La combinazione delle temperature e delle precipitazioni fa sì che i suoli delle Alpi siano soggetti a brevi periodi di intense precipitazioni in grado di causare eventi alluvionali, lunghi periodi di deficit idrico e di gelo, periodi in cui i processi di formazione del suolo sono rallentati dal modesto contenuto d’acqua del suolo.            Lo scarso sviluppo dei suoli di Villadossola rispetto a quello di Cliland va quindi attribuito sia ad una maggiore intensità con cui insiste l’erosione, che al regime climatico, poco favorevole alla formazione ed alla conservazione in situ dei minerali argillosi pedogenetici.

               

4.1.3. Influenza della geomorfologia e dell’uso del suolo sulle proprietà chimiche e fisiche dei suoli di Villadossola.

            I principali dati analitici dei suoli di Villadossola e le caratteristiche della stazione di campionamento sono riportati in appendice (A1-A7). Nelle tabelle T413-1, T413-2, T413-3 e T413-4 sono invece illustrate le medie e i coefficienti di variazione standard delle proprietà chimico-fisiche dei profili distinti per profondità dello strato e quindi anche per uso, stazione geomorfologica e pratiche di gestione attuali. Le tabelle permettono in prima approssimazione di determinare se tra le classi considerate sussistono differenze statisticamente significative tenendo conto del numero dei campioni presenti nella classe, della media e della deviazione standard. In prima approssimazione si può ritenere che tra due classi vi siano differenze significative con un limite di confidenza superiore al 60% quando la differenza tra le due medie è superiore alla deviazione di almeno una delle due classi.

                    

            4.1.3.1.         Tessitura

            La tessitura del suolo è una caratteristica importante nel determinare proprietà del suolo che possono spiegare la mobilità dei metalli pesanti provenienti dalle emissioni fusorie della fonderia. Tra queste vi sono principalmente la permeabilità e la capacità di scambio cationico. Queste caratteristiche fisiche e chimiche del suolo hanno grande rilievo nel determinare la velocità di lisciviazione degli inquinanti verso la falda e la loro disponibilità nei confronti degli organismi vegetali e animali.

            La tessitura è prevalentemente sabbiosa in tutti i suoli considerati. In media si

misura il 25% di sabbia grossa, il 66% di sabbia fine, il 6% di limo ed il 3% di argilla.

            La tessitura dei suoli di Villadossola è il risultato di fattori pedogenetici, la cui azione può essere importante nel determinare il comportamento e la mobilità degli elementi in traccia. Tra questi i più importanti sono la neoformazione di argille e la loro traslocazione verso gli strati più profondi del suolo; la formazione di aggregati di suolo ad opera di sostanze cementanti quale la sostanza organica; il rimodellamento superficiale ad opera dello scorrimento delle acque superficiali, che ridistribuisce il materiale terrigeno eroso dalle porzioni più acclivi secondo la pendenza locale.

            In nessuna delle unità pedoambientali considerate si osserva una significativa differenza tessiturale attraverso il profilo del suolo. In particolare non si osserva nessun significativo arricchimento della frazione argillosa negli orizzonti profondi neanche nel profilo dei suoli indisturbati, dove i processi pedogenetici che portano alla neoformazione di argilla e alla sua traslocazione negli orizzonti profondi hanno agito per i tempi più lunghi e sono pertanto più pronunciati. Non si osserva inoltre nessuna differenza tessiturale significativa tra gli orizzonti delle diverse unità d’uso del suolo, dove le differenze nel contenuto in sostanza organica sono massime. Queste osservazioni permettono di concludere che in nessuna delle unità pedoambientali considerate vi è un apprezzabile fenomeno di illuviazione delle argille e si può escludere che la traslocazione dell’inquinante in forme adsorbite sui minerali dell'argilla sia un fenomeno di rilievo nel determinare la distribuzione verticale degli inquinanti. Si può inoltre escludere che l’azione cementante della sostanza organica affligga la determinazione della tessitura con erosi sistematici significativi.


 

Tabella T413-1.



 


Tabella T413-2.

 


 


Tabella T413-3.

 


 


Tabella T413-4.

 

 


Dall’idrogeologia è noto che la permeabilità dei suoli controlla sia la frazione di acque piovane che si infiltra nel sottosuolo (infiltrazione efficace) che la velocità con cui questi fluiscono attraverso il profilo (Francani V., 1988. Frega G., 1987. Maione U., 1995. Terzaghi P., 1967. Feddes R. A. et al., 1988). Infiltrazione efficace e permeabilità dipendono dalla tessitura e dalla struttura del suolo. In prima approssimazione la struttura del suolo può essere trascurata. Infatti si osserva che la permeabilità e l’infiltrazione efficace aumentano progressivamente con il contenuto in frazione grossolana. Oltre alla composizione tessiturale del suolo è quindi importante la distribuzione geometrica e i rapporti tra le particelle minerali del suolo, ovvero la sua struttura. Delle diverse classi tessiturali presenti nei suoli di Villadossola è ragionevole ritenere che la permeabilità e quindi l’infiltrazione efficace del suolo siano controllate principalmente dalla sabbia fine e dal limo. Lo scheletro e la sabbia grossa sono infatti rappresentate nei suoli in quantità troppo esigue per poterne determinare la permeabilità, ed è atteso che queste classi tessiturali si comportino nei confronti della soluzione circolante come una massa inerte immersa in una matrice più fine. Il contenuto di argilla è per contro eccessivamente esiguo per riempire completamente le cavità e gli interstizi lasciati liberi dall’impacchettamento dei granuli di sabbia fine e questa frazione tessiturale non può quindi controllare la permeabilità dei suoli.

            A causa dell’elevata attività superficiale e l’adsorbimento di cationi, la frazione fine, limo e argilla, è notoriamente importante anche nel determinare la biodisponibilità dell’inquinante (Adriano D.C., 1986. Alloway B.J., 1997. Sillampää M., 1982). Le argille del suolo possono rimuovere il metallo presente in soluzione adsorbendolo sulle proprie superfici o fissandolo all’interno dei propri interstrati (Bolth G.H., 1963. Bolth G.H., 1955. Dolcater D.L., 1972. Egozy Y., 1980. Lim C.H., et al., 1980. Evans L. J., 1989. Schindler P.W., et al, 1976. Bittel J.F. e Miller R.J., 1974. Farrah H. e Pickering W.C., 1976) diminuendo nella soluzione circolante la concentrazione della forma che più facilmente passa la membrana cellulare dei peli radicali, quella solubile. Inoltre Vermiculiti e Smectiti possono adsorbire all’interno del proprio interstrato i metalli in una forma che non viene rilasciata a contatto con i succhi gastrici dei mammiferi, diminuendone, lievemente, l’assimilazione da parte delle specie animali quale risultato dall’ingestione di suolo (Sheppard S. C. et al., 1994).

                    

            4.1.3.2.         Sostanza organica.

            Il contenuto in sostanza organica nei suoli di Villadossola è compreso tra 0.7 e 35.3%. In tutte le unità pedologiche considerate il contenuto di sostanza organica è massima negli strati superficiali e diminuisce a valori minimi in quelli più profondi (tabelle T413-1, 2, 3 e 4). Il profilo della sostanza organica è ovviamente controllato dall’uso del suolo come si può apprezzare in figura F4131-1. I

 



Figura F4131-1. Distribuzione della sostanza organica nel profilo secondo l'uso del suolo.

 


contenuti minimi in sostanza organica si osservano nel profilo dei prati lavorati nel corso degli ultimi dieci anni, i valori intermedi si hanno nel profilo dei prati permanenti ed infine i valori massimi si registrano nei suoli forestali. A profondità superiori a quindici centimetri il contenuto di sostanza organica è mediamente compreso tra il 2 ed il 5% e le influenze determinate dall’uso del suolo sono minime. La velocità di degradazione della sostanza organica apportata ai suoli alpini simili a quelli di Villadossola è del 3% annuo (Arduino E. et al., 1986). Considerati i tempi di rinnovo dei prati permanenti e dei boschi e la diffusione che le pratiche agricole di Villadossola hanno in vaste aree dell’arco alpino occidentale, è ragionevole ritenere che, quantomeno nei boschi e nei prati permanenti, il contenuto in sostanza organica osservato sia quello determinato dal raggiunto equilibrio tra apporti asporti e degradazione, abbia raggiunto lo  stato stazionario e sia rappresentativo di un’ampia area geografica.

            Molti lavori pubblicati da numerosissimi autori indicano che la sostanza organica è un componente del suolo molto importante nel determinare il comportamento dei metalli pesanti nel suolo (Adriano D.C., 1986. Alloway B.J., 1997. Sillampää M., 1982). In particolare è importante per determinarne le forme chimiche, la concentrazione nella soluzione circolante, la velocità di lisciviazione e la biodisponibilità.

            La sostanza organica presente nel suolo può forme assai varie, comprese tra le spoglie organiche indecomposte e gli acidi umici e fulvici (Testini C. e Gessa C., 1986. Schnitzer M., 1991). La sostanza organica può quindi complessare il metallo in forme insolubili e rallentarne la lisciviazione o chelarlo in forme solubili e mobilizzarlo. La sostanza organica può inoltre occludere all’interno delle propria struttura (Schnitzer M., 1991) i metalli pesanti rimuovendoli dalla soluzione circolante (Saar R. A., e Weber J.H., 1980), diminuendone sensibilmente, come nel caso del Cu (Sillampää M., 1982) la frazione assimilata dai vegetali. A causa del carattere acido, l’accumulo di sostanza organica può inoltre abbassare il pH del suolo, favorendo così la solubilizzazione dei metalli pesanti occlusi nel reticoli cristallini di ossidi, idrossidi, carbonati e fosfati che possono precipitare solo a pH elevati. I metalli di transizione formano con i radicali dei composti organici, principalmente con R-COO-, R-NH2, R-COOH, R-SH, complessi assai stabili rispetto a quelli formati dai metalli alcalini ed alcalino-terrosi (Yatsimirskii K. B. and Vasil’Ov V.P., 1960. Schwarzen G. and Sillen G. L., 1958).

 

            4.1.3.3. Capacità di scambio cationico.

             La CSC dei suoli studiati è compresa tra il valore minimo di 3.2 cmol/kg e il valore massimo di 51.3 cmol/kg. Considerato che il contenuto di argilla è sempre piuttosto basso e che la distribuzione

 



Figura F4133-1. Distribuzione della CSC nel profilo delle unità d'uso del suolo.

 


delle frazioni tessiturali è relativamente omogenea sia tra gli strati di uno stesso profilo che tra i profili delle diverse unità pedologiche distinte nel corso del campionamento, è ragionevole ritenere che la distribuzione della CSC sia determinata principalmente dalla sostanza organica. Invero la distribuzione della CSC attraverso il profilo grossomodo riflette quello della sostanza organica (figura F4133-1). Tra gli strati di un profilo e tra i profili delle diverse unità d’uso del suolo si osservano notevoli differenze nei valori di CSC (T413-4). I valori minimi di CSC si osservano così nei suoli a prato avvicendati con le colture cerealicole, i valori intermedi nei profili dei prati permanenti ed i valori massimi nei profili dei suoli forestali. La CSC aumenta dove le pratiche agricole conducono all’accumulo di sostanza organica ed è quindi una proprietà chimica del suolo fortemente controllata dall’attività antropica. A profondità superiori ai 15 cm, dove diminuisce l’influenza delle pratiche agricole, la CSC converge a valori più bassi.

            A determinare la CSC del suolo oltre che i colloidi organici concorrono ovviamente anche le superfici minerali. Le superfici dei minerali del suolo sono infatti elettricamente cariche e chimicamente reattive (Gessa G., Testini C., 1989b). Smectiti, Vermiculiti, Idromiche, Illiti e ossidi e idrossidi di Fe e Mn possono adsorbire i metalli, rimuovendoli dalla soluzione circolante rallentandone la lisciviazione verso gli strati profondi del suolo o limitandone la biodisponibilità. Siccome la superficie dei minerali del suolo aumenta in modo inversamente proporzionale al quadrato del raggio medio della particella, le frazioni più reattive nel complessare i metalli sono quella argillosa e limosa. Le superfici minerali e i composti umici hanno inoltre una carica pH-dipendente affatto diversa  ed inoltre si combinano con gli elementi in traccia formando complessi dotati di una stabilità molto diversa. Il complesso di scambio determinato dalla sostanza organica e quello determinato dalle superfici dei minerali del suolo ha quindi un comportamento chimico nei confronti dei metalli pesanti molto differente.

            La CSC risulta quindi fortemente correlata sia alla sostanza organica (SO) che alla frazione fine, limo + argilla (F4133-2):

 

CSC = 1.49 SO + 0.244 F + 5.07    (p <0.001;  r2 = 0.87;  n=77)

 

            La frazione fine e la sostanza organica, come è evidente dal coefficiente di determinazione, spiegano l’87% della varianza della CSC. Si può presumere che il rimanente possa essere spiegato dalla composizione mineralogica della frazione fine in particolare dal contenuto di Vermiculiti (cfr. paragrafo Mineralogia dei suoli di Villadossola).

 


 

Figura 4133-2. Rapporto tra CSC e sostanza organica.

 


Tabella T4133-1. Capacità di scambio cationico della sostanza organica e della frazione minerale nelle diverse unità geomorfologiche e d'uso.

 



Tabella T4133-1. Capacità di scambio cationico della sostanza organica e della frazione minerale nelle diverse unità geomorfologiche e d'uso (continua).




Figura F4133-3. Capaità di sambio cationico relativa della frazione minerale e della sostanza organica nelle spalle glaciali.

 

 



Figura F4133-4. Capaità di sambio cationico relativa della frazione minerale e della sostanza organica nei versanti vallivi.

 



 

 


            Le capacità di scambio cationico della frazione minerale e della frazione organica sono state calcolate mediante regressioni multiple nelle diverse unità geomorfologiche e d’uso (T4133-1). Differenze significative della capacità di scambio cationico della sostanza organica si osservano in funzione dell’uso del suolo. La capacità di scambio cationico della sostanza organica dei prati permanenti è di 173+/-7,0% cM/Kg, significativamente maggiore a quella dei boschi e dei prati in rotazione agricola, 132+/-16 cM/Kg. Differenze significative nella capacità di scambio cationico della frazione minerale si osservano in funzione dell’unità geomorfologica. Nelle spalle glaciali la capacità di scambio cationico è principalmente determinata dalla frazione limo+argilla ed è di 98+/-40 cM/Kg. Negli acclivi versanti vallivi la capacità di scambio cationico della frazione minerale è principalmente determinata dalla sabbia fine, , ed è di 21+/-23 cM/Kg. Nelle alluvioni del fondovalle la capacità di scambio cationico della frazione minerale è significativamente determinata sia dalla frazione fine limo+argilla (20+/-50 cM/Kg) che dalla sabbia fine (12+/-16 cM/Kg). Le differenze statisticamente significative osservate nella capacità di scambio cationico in funzione della unità geomorfologica permettono, nell’alea del metodo di stima adottato, di tracciare il profilo dell’importanza relativa della sostanza organica e della frazione minerale nelle spalle glaciali, sui versanti vallivi, e nel fondovalle alluvionale (F4133-3, F4133-4, F4133-5). L’importanza relativa della sostanza organica dipende ovviamente dall’uso del suolo prevalentemente associato all’unità geomorfologica: prato in rotazione agricola sul fondovalle, prato permanente o bosco sui versanti vallivi, prato permanente sulle spalle glaciali.

Le differenze osservate nella capacità di scambio cationico della frazione minerale in funzione dell’unità geomorfologica possono essere spiegate dalla velocità di scorrimento delle acque superficiali (Castiglioni G.B., 1986. Birkeland P.W., 1983), che, ad incominciare dall’Olocene, 10.000 anni fa, rimodellano le superfici topografiche di Villadossola. In corrispondenza delle spalle glaciali la velocità di scorrimento delle acque di ruscellamento è bassa e possono pertanto essere deposte solo le particelle fini caratterizzate da una densità bassa, quali le Vermiculiti, le Idromiche e le Illiti. Attraverso gli acclivi versanti vallivi le velocità di scorrimento delle acque superficiali è elevata, e le particelle fini possono essere deposte solo quando hanno una densità elevata come quella del Quarzo, dei Feldspati e dei Pirosseni, minerali aventi una bassa capacità di scambio cationico. Le Illiti, poco dense, possono essere deposte solo quando hanno una diametro superiore a quello del limo. Quando i cristalli di Illite hanno queste dimensioni permangono a lungo nel pedoambiente, potendosi così alterare profondamente ed aumentare la propria capacità di scambio cationico (Ajmone Marsan F. et al., 1988. Arduino E., et al. 1986). Al procedere dell’alterazione della Illite, aumentano sia la capacità di scambio cationico che la selettività verso i cationi a bassa energia di idratazione quali Rb, Cs, K, Pb e Cd. Nel fondovalle la

 




velocità di scorrimento delle acque diminuisce e tornano ad essere deposte le particelle fini dotate di elevata capacità di scambio cationico e le leggere Idromiche sabbiose formatesi sui versanti vallivi dall’alterazione delle miche.

 

4.1.3.4.         Il pH

            Il pH dei suoli di Villadossola è compreso tra un valore minimo di 3.5 e il valore massimo di 6.0. L’attività dello ione idronio nella soluzione circolante diminuisce con la profondità in tutte le unità pedologiche considerate (tabella T413-1, T413-2, T413-3, T413-4), sebbene non a profondità superiori ai 15 cm. Vi è una stretta relazione tra uso del suolo, contenuto in sostanza organica e pH (figura F4134-1). L’attività delo ione idronio è massima nel profilo dei suoli forestali, intermedia nel profilo dei prati permanenti ed è minima nel profilo dei prati in rotazione agricola.

            Il pH del suolo influisce su molte reazioni e processi chimici che controllano la biodisponibilità e la lisciviazione dei metalli in traccia (Adriano D.C., 1986. Alloway B.J., 1997). In particolare il pH ha un ruolo importante nel determinare la solubilità di fasi minerali che possono occludere al loro interno gli elementi in traccia, sulle forme chimiche che gli elementi assumono in soluzione, sulla carica superficiale dei composti minerali ed umici, sull’intensità dell’adsorbimento e della complessazione e quindi sulla costante di ripartizione tra solido e liquido e sulla velocità di lisciviazione.

 

4.2.5. Analisi alla microsonda.

            Le analisi in microsonda sono state eseguite su aggregati di suolo, detti anche organoliti del campione FAOS1/3. La microsonda permette l’analisi morfologica delle superfici sui campioni rivestiti di grafite e l’analisi chimica quantitativa dei campioni inglobati in resina e lucidati. Le analisi chimiche, morfologiche e microtessiturali effettuate con la microsonda permettono di acquisire utili informazioni sulla composizione mineralogica, sulle caratteristiche della superficie dei minerali, nonché di evidenziare i processi di alterazione in atto sui minerali primari ed alcune importanti caratteristiche microtessiturali importanti nello spiegare la velocità di lisciviazione degli inquinanti e la loro biodisponibilità.

            Nelle figure F425-1c e F425-1d è riportato l’immagine in elettroni retrodiffusi di un frammento di roccia costituito da quarzo, feldspati ed idrossidi di ferro. Gli idrossidi di ferro risultano nella immagine di un colore bianco brillante rispetto a quarzo e feldspato in quanto il Fe riflette con maggior efficienza gli elettroni di quanto non facciano gli elementi leggeri (Ca, Na, K, Al, Si) che costituiscono il Quarzo e i Feldspati. Gli ossidi di Fe evidenziano al loro interno una struttura fine, a


F425-1.


F425-2.


bande concentriche, spesso visibile anche ad occhio nudo nelle pseudomorfosi di limonite su solfuri. Le pseudomorfosi di limonite su solfuri non sono comuni nel campione esaminato, e l’ossido di ferro riportato è l’unico rinvenuto. Nella figura F425-1a è riportata la fotografia di un fascio di fibre di serpentino appartenenti alla frazione limosa. Le fibre risultano separate da cavità che si insinuano profondamente nel frammento policristallino. L’origine di tali cavità va ragionevolmente attribuita all’alterazione pedogenetica, in quanto la roccia inalterata, formatasi nelle profondità della crosta terrestre, è caratterizzata da una marcata compitazione delle fibre che non si riscontra nel campione esaminato. Le superfici dei feldspati della frazione limosa (F525-1b, F425-2a, F425-2c) sono subrotondeggianti e non presentano gli angoli vivi che comunemente caratterizzano i feldspati fratturati di fresco. La causa dell’arrotondamento delle superfici dei feldspati va attribuita alla alterazione chimica dei minerali che occorre in ambiente pedogenetico. Infatti le superfici dei granuli di feldspato sono attraversate da profonde cavità subrotondeggianti, segnalate in letteratura come frutto di corrosione chimica  nonché da fessure allargate dall’alterazione che seguono i sistemi di sfaldatura e si insinuano profondamente all’interno del cristallo (F425-1b). Le superfici dei piani basali delle miche limo evidenziano processi di sfaldatura paralleli al piano basale (F425-2d e F425-2b). Le dimensioni dei frammenti di mica che si distaccano dai frammenti della frazione limosa, indicati con due crocette nella figura F425-2b, sono quelle dell’argilla. L’origine della defoliazione delle miche è stata attribuita in letteratura  (Violante P., 1986) all’azione fisica del gelo e del disgelo nonché all’azione abrasiva esercitata dai minerali più resistenti all’abrasione. L’attività della superficie della frazione limosa è infatti troppo modesta perché i processi di alterazione chimica possano essere marcatamente più incisivi dei processi di alterazione fisica. L’alterazione chimica è al contrario il principale meccanismo di alterazione pedogenetica della frazione argillosa, caratterizzata da un’elevata attività superficiale. I piani lungo i quali due foglietti di mica si distaccano assumono una notevole importanza per spiegare in taluni suoli il comportamento degli elementi in traccia. Lungo tali piani la distanza basale si riduce progressivamente raggiungendo l’intervallo compreso tra i 14 e i 10 Å. Tale zona è detta zona a cuneo. Essa ospita i cosiddetti siti di adsorbimento di “bordo da alterazione”  nei quali sono adsorbiti selettivamente cationi a basso potenziale ionico quali Pb, Cs, Pb e Cd.

            I granuli di quarzo, non riportati in figura, nonostante abbiano una durezza circa uguale a quella dei feldspati (7.0 nella scala di Mohs) sono caratterizzati da spigoli vivi. Le caratteristiche superfici di frattura concoidi sono perfettamente preservate nonostante i processi di alterazione chimica ed i processi abrasivi che devono aver agito nel corso del trasporto del sedimento. La ragione della pressoché perfetta conservazione delle superfici di frattura dei granuli di quarzo va presumibilmente ricercata nella ben nota resistenza all’alterazione chimica di questo minerale e nella relativa modesta distanza di trasporto dalla cava di prestito. I granuli di quarzo risultano infatti fortemente arrotondati solo a seguito di trasporti di diverse centinaia di Km, come nel caso del loess deposto sulla collina torinese  o nelle alluvioni di bassa pianura.

            I singoli cristalli ed i rari frammenti di roccia della frazione limosa ed argillosa sono aggregati a formare zollette da una sostanza dall’aspetto mucillaginoso, talvolta filamentoso (F425-3c, F425-3a). In cemento mucillaginoso costituisce una massa amorfa percorsa da fratture di disseccamento che ingloba completamente le componenti minerali e le spoglie organiche indecomposte (F425-3d, F425-3b). Nelle sezioni lucidate (F425-3-c), dove è ovviamente indistinguibile dalla resina a base di carbonio che ingloba le zollette, è evidente che la mucillagine penetra all’interno degli aggregati inglobando completamente le particelle minerali e distanziandole le une dalle altre. Le mucillagini osservate risultano assai diverse dalle immagini dei composti umici provenienti da laghi  e suoli  pubblicate in letteratura (Schnitzer M., 1991). Queste hanno infatti una forma filamentosa e una struttura reticolare. E’ quindi lecito ipotizzare che la sostanza organica che si osserva inglobare la frazione minerale possa essere costituita da mucillagini radicali ed essudati radicali.

            Le osservazioni effettuate con la microsonda permettono di trarre importanti risultati. Mentre i frammenti litici sono il costituente principale dello scheletro, nella frazione sabbiosa e limosa prevalgono le particelle monominerarie. L’espansione termica differenziale dei diversi minerali è un processo pedogenetico importante nel determinare la disaggregazione delle rocce e la formazione colluvium su cui è impostato il suolo. L’ordine di alterabilità dei minerali osservati rispecchia quello previsto su basi termodinamiche  ed è (Faure G., 1992):

 

                                   solfuri > serpentino > feldspati > miche > quarzo

 

I solfuri risultano completamente alterati in limonite. Processi di alterazione chimica sono evidenti sulle superfici dei del serpentino e dei feldspati anche quando questi hanno le dimensioni del limo. Sulla superficie delle miche, minerali considerati tra i meno alterabili, sono evidenti solo processi di esfoliazione meccanica. Il quarzo non evidenzia processi di alterazione chimica o meccanica eccetto che la frammentazione determinata dagli urti meccanici.

            Le particelle minerali sono cementate da composti organici mucillaginosi e filamentosi. Negli aggregati irregolari le particelle minerali sono completamente immerse in una matrice costituita da sostanza organica. Questa, presumibilmente costituita da essudati radicali e composti umici, penetra tra i granuli minerali e inglobandoli completamente. La sostanza organica ha quindi una grande importanza nel determinare lo stato di aggregazione dei osservata nei profili pedologici,  la macroporosità, la bagnabilità, e quindi la porosità del suolo e l’infiltrazione efficace delle piogge. La


Figura 426-1.

 


Figura 426-2.

 


porosità e l’infiltrazione efficace sono proprietà del suolo che condizionano la frazione di acque piovane che si infiltrano nel suolo e la loro velocità di discesa verso la falda e, in ultima analisi, la velocità di trasporto degli inquinanti.

 

4.2.6. Composizione mineralogica dei suoli di Villadossola.

            Nel corso del rilevamento della composizione mineralogica delle argille presenti nei primi 15 cm dei suoli Piemontesi condotta da Facchinelli et al. (1997), due suoli raccolti sono stati raccolti nell’area in esame:  il Campione “Domodossola”, sulle alluvioni del fiume Toce, ed il Campione “Pontetto”, su un terrazzo glaciale. I diffrattogrammi e le stime semiquantitative (F426-1, F426-2) indicano che la vermiculite rappresenta rispettivamente il 20 e il 30% della frazione argillosa, mentre non risulta rappresentata la Smectite, peraltro alquanto rara nella regione e rappresentata nell’arco alpino principalmente nei suoli sviluppati sui complessi serpentinitici. Nelle argille della spalla glaciale, (F426-1) la scomparsa del picco a 18Å del campione saturato in Mg a seguito del trattamento Co K indica la presenza di interstratificati Vermiculite-Smectite.

L’elevato contenuto di vermiculite osservato nelle argille delle spalle glaciali è in buon accordo con l’elevata capacità di scambio cationico della frazione minerale di questa unità geomorgfologica.

 

         4.3.   Elementi di transizione in traccia estraibili con acquregia.

4.3.1. Stima della concentrazione litogenica ed antropica.

La concentrazione dell’elemento di transizione calcolato dall’inventario geochimico e la concentrazione media dell’elemento estraibile in acquaregia sono riportate nella tabelle T431-1 e T431-2. Nel profilo di Cliland si osserva che i metalli pesanti estratti dall’acquaregia hanno una concentrazione assai prossima a quella dell’inventario geochimico eccetto che per Cd e Pb. Nei suoli di Villadossola si osservano concentrazioni a quelle stimate dall’inventario geochimico per tutti gli elementi eccetto che per Co, Ni e Cr. La distribuzione dei metalli pesanti è diversa nei suoli disturbati dalle lavorazioni e nei suoli non disturbati dopo l’evento inquinante del 1980-1982. Nei suoli non disturbati dalle lavorazioni si osserva che la concentrazione di tutti gli elementi in traccia eccetto quelle di Co e Ni decresce esponenzialmente con la profondità fino a raggiungere  valori prossimi a quelli stimati dall’inventario geochimico a profondità superiori ai 20 cm (Tabella T431-2). Nel confrontare la concentrazione litogenica osservata e quella stimata, va osservato che l’acquaregia solubilizza

 

 

                       Tabella T431-1. Inventario geochimico della Val d’Ossola

 

Roccia

 

Pb

Cu

Ni

Zn

As

Bi

Cr

Sb

Cd

Co

 

%

Concentrazione, mg/kg (*)

Gneiss

80.5

21

12

3

51

1

0

2

0

0

1

Rocce carbonatiche

10.9

15

25

47

62

12

1

40

1

0

10

Anfiboliti

4.6

5

43

150

97

2

0

245

0

0

43

Quarziti

1.9

15

11

2

40

1

0

30

0

0

1

Serpentiniti

1.7

1

35

2000

58

3

1

3200

0

0

155

Gneiss anfibolitici

0.7

13

50

76

74

1

0

230

0

0

22

 

 

Concentrazione ponderata con la superficie di affioramento, mg/kg.

Gneiss

80.5

16.91

9.66

2.01

41.06

0.81

0.10

1.61

0.08

0.11

0.81

Rocce carbonatiche

10.9

1.60

2.67

5.12

6.70

1.31

0.08

4.36

0.05

0.03

1.04

Anfiboliti

4.6

0.23

1.98

6.90

4.46

0.07

0.00

11.27

0.00

0.01

1.98

Quarziti

1.9

0.29

0.21

0.04

0.76

0.02

0.00

0.57

0.00

0.00

0.01

Serpentiniti

1.7

0.02

0.60

34.00

0.99

0.05

0.02

54.40

0.00

0.00

2.64

Gneiss anfibolitici

0.7

0.09

0.35

0.53

0.52

0.01

0.00

1.61

0.00

0.00

0.15

Concentrazione litogenetica del suolo

19.1

15.5

48.6

54.5

2.3

0.20

73.8

0.14

0.15

6.6

(*) La concentrazione media degli elementi in traccia nelle rocce è elaborata dai dati riportati in:  Wedepohl K.H., 1978, "Handbook of Geochemistry".


 


 


l’elemento legato alla sostanza organica, ai sesquiossidi, ai solfuri, e solo parzialmente o poco l’elemento occluso nei silicati primari e nelle Vermiculiti (Page L. et al. Eds, 1982). La concentrazione dell’elemento stimata dall’inventario geochimico, esprime la concentrazione dell’elemento totale e comprende quello occluso nei minerali primari, che come è stato osservato nello studio dei cicli petrogenici degli elementi, non è trascurabile.

            Per  stimare il contenuto litogenico si è proceduto diversamente nei suoli di Villadossola e nel suolo di Cliland. Nei suoli di Villadossola, che si sviluppano su un terreno geologico attraversato da importanti mineralizzazione a solfuri, è stato assunto che la concentrazione litogenica sia il valore minore tra la concentrazione stimata dall’inventario geochimico e la concentrazione osservata negli strati più profondi dei profili. Nel profilo di Cliland, che si sviluppa su un terreno geologico poverissimo di mineralizzazioni (Cameron B.I. e Stephenson D., 1985) si è assunto, seguendo Page L.

et al. Eds., 1982) l’elemento estratto dall’acquregia sia composto principalmente dall’elemento antropico mente l’elemento litogenico sia per lo più in forme non dissolubili da un attacco acido forte. La stima della concentrazione dell’elemento litogenico ed antropico è arbitraria in entrambe le aree, ma va osservato che, come emerge dall’esame critico della letteratura discusso nel paragrafo 3.6 del capitolo dedicato ai materiali e ai metodi, eccetto che quando sia possibile effettuare analisi isotopiche, non vi sono metodi considerati universalmente validi e comunemente accettati che permettano di determinare la concentrazione litogenica dell’elemento.

 

4.3.2. Stima dell’arricchimento antropico dei metalli pesanti nei suoli contaminati.

            L’arricchimento antropico di un elemento nel suolo (AA) è definito come il rapporto tra la concentrazione dell’elemento totale osservata nel suolo e la concentrazione dell’elemento litogenico (tabella T432-1). Esso è un parametro utile per valutare la perturbazione dei cicli biogeochimici, in quanto esattamente come il flusso dell’elemento che dal suolo entra nella biomassa vegetale (Sillampää M., 1982. Baes C.F. et al., 1984) i flussi dei cicli biogeochimici dei metalli pesanti sono per lo più governati da cinetiche lineari (Lasaga A. C, 1980. Whitfield M., 1981. Whitfield M., e Turner D.R., 1982. Mckenzie et al., 1979). Nel suolo di Cliland e nei suoli di Villadossola, si osserva che l’arricchimento antropico segue lo stesso ordine, e che il fattore di arricchimento antropico di Co, Ni, Zn, Cd, Pb e Cr del suolo inquinato dalle attività siderurgiche è correlato al fattore di arricchimento dell’elemento nel suolo rispetto alla roccia madre (FAS) osservato in Nord America (Shacklette H. T. et al., 1984), tabella T432-1 e figura F432-1):


 


 



 


FAS = (0,031 +/- 0,97) + (0,31 +/- 0,023) * AA

n = 7;  r2 = 0,997; P=7,6*10^-5

 

La stretta relazione osservata tra arricchimento antropico del suolo contaminato dalle emissioni delle fonderie e il fattore di arricchimento di Co, Ni, Zn, Cd, Pb e Cr rispetto alla roccia madre osservato nel Nord America lascia supporre che il suolo del Nord America sia inquinato dalle emissioni delle fonderie. Il contenuto fattore di arricchimento dell’As nel suolo del Nord America è molto superiore a quello stimabile dall’inquinamento siderurgico e può essere spiegato dal massiccio uso  dell’As come pesticida e defoliante (Alloway D.C., 1986). L’arricchimento di Sb nel suolo del Nord America è un poco inferiore a quello prevedibile dall’arricchimento di Co, Ni, Zn, Cd, Pb e Cr, ma segue lo stesso andamento. Non si hanno dati sull’arricchimento del Bi nel suolo del Nord America, ma questo può essere stimato di circa 1,3.

            Nei suoli di Villadossola l’arricchimento antropico è ovviamente diverso attraverso il profilo dei suoli che sono stati lavorati a seguito dell’evento inquinante del biennio 1986-1986 ed in quelli che, dopo aver ricevuto l’immissione siderurgica, sono stati lavorati. I valori più elevati dei fattori di arricchimento antropico si registrano ovviamente nello strato superficiale dei suoli indisturbati, dove sono in ordine decrescente 11 (Cd), 10 (Bi), 5.9 (Cu), 6.6 (Pb), 3.6 (Zn), 3.3 (Sb), 3.2 (As) e 2.6 (Cr). Nei suoli lavorati i fattori di arricchimento sono ovviamente inferiori ed approssimativamente costanti attraverso il profilo. I valori medi decrescono nell’ordine 4.2 (Cd), 2.7 (Pb), 2.4 (Bi), 2.4 (Cu), 2.0 (As), 2.0 (Zn), 1.8 (Cr).

 

             4.4.         La lisciviazione degli inquinanti.

            La lisciviazione degli inquinanti è stata indagata mediante un modello matematico che esprime la mobilità dell’inquinante attraverso tre diversi parametri: la velocità di lisciviazione, la costante cinetica dell’inquinante da un volume di suolo al sottostante e la costante di ripartizione in situ. I tre parametri forniscono informazioni complementari e differenti sui meccanismi che controllano la velocità di lisciviazione verso la falda idrica. Le principali proprietà chimiche e fisiche dei suoli di Villadossola su cui si è studiata la lisciviazione sono riportate nell’appendice A6. Le velocità di lisciviazione ed i tempi di residenza calcolati sono riportati nelle appendice A7.



 

 

 



 

 



 

 



 

 


 

 




 

 



 

 


 

4.4.1. La velocità di lisciviazione.

            Le velocità di lisciviazione medie (cm/a) hanno una deviazione standard compresa tra il 30 ed il 140%  (figura F441-1 e F441-2) e sono in ordine decrescente:

 

a Cliland

Cd(1,4)>Co(1,2)=Ni(1,2)>Cu(1,1)>Pb(0,9)>Zn (0,9)

 

a Villadossola

As (1,4)>Cu (1,2)>Pb(0,8)>Cd(0,75)=Cr(0,74)=Sb(0,7)Bi>(0.78)>Zn (0,66)

 

            Le velocità di lisciviazione differiscono dall’elemento più veloce a quello più lento di un fattore 2. L’ordine con il quale si sussegue la velocità di lisciviazione media è lo stesso nel suolo di Cliland ed in quello di Villadossola. Le velocità degli inquinanti sono sistematicamente maggiori a Cliland, in buon accordo con la maggior lisciviazione del suolo scozzese rispetto a quelli della Val d’Ossola rilevata dall’osservazione dei profili pedologici.

            Nel profilo di  Cliland la velocità di lisciviazione degli inquinanti, tutti elementi di transizione bivalenti, è minima nello strato superficiale, aumenta con la profondità raggiungendo il valore massimo nell’orizzonte Ae per tornare a diminuire lievemente in prossimità dell’orizzonte Bg (F441-3). Particolarmente marcato è l’aumento della velocità di lisciviazione del Cd in corrispondenza dell’orizzonte Ae. Nei suoli di Villadossola la velocità di lisciviazione di Pb, Cd, Zn, Sb, e Cr aumenta muovendo dagli orizzonti superficiali a quelli profondi (F441-4). Dal comportamento medio si discosta il Cu, elemento che può essere pervenuto al suolo a causa della coltura della vite e dell’As, un elemento che può essere metabolizzato dalle popolazioni fungine e batteriche in forme metilate volatili (Tamaki S. e Frankerbergher  W. T., 1992). Le regressioni multiple significative ottenute con il metodo della progressiva aggiunta di variabili tra velocità di lisciviazione e proprietà chimiche e fisiche del suolo sono riportate nella tabella T441-1. Nel profilo di Cliland si osserva che la velocità di lisciviazione è controllata dal contenuto in sostanza organica e dalla capacità di scambio cationico. Per i metalli a basso potenziale ionico la proprietà del suolo che meglio spiega la velocità di lisciviazione è il contenuto in sostanza organica, mentre per i metalli a basso potenziale ionico la proprietà che meglio spiega la velocità di lisciviazione è la capacità di scambio cationico, confermando il criterio generale secondo cui nelle serie litotropiche l’importanza delle argille nel legare il metallo aumenta al diminuire del potenziale ionico (Violante P., 1986b). Nei suoli di Villadossola si osserva che la sostanza organica rallenta la lisciviazione dell’inquinante, mentre la frazione minerale, sia essa sabbia fine o frazione fine limo+argilla è positivamente correlata alla velocità di lisciviazione. Si osserva inoltre che anche la densità del suolo è positivamente correlata alla velocità di lisciviazione. L’analisi statistica dei dati conferma quanto osservato dalla distribuzione delle velocità di lisciviazione attraverso il profilo del suolo, ovvero un aumento della velocità passando dall’orizzonte superficiale ricco in sostanza organica e poroso agli orizzonti sottostanti minerali e densi. L’osservazione che la frazione fine è negativamente correlata alla velocità di lisciviazione suggerisce che la frazione di metallo pesante mobile sia un complesso anionico.

 

4.4.3. Il tempo di residenza dell’inquinante nel suolo.

            Come risulta dalle regressioni multiple ottenuto con il metodo della progressiva aggiunta di variabile, il tempo di residenza degli inquinanti nel suolo di Villadossola è controllato dal contenuto di sostanza organica e dalla tessitura (tabella T442-1). Il tempo di residenza aumenta con il contenuto di sostanza organica e diminuisce sia con il contenuto di sabbia fine che di  frazione fine limo + argilla. Per gli elementi per i quali la tessitura non influisce significativamente nel determinare il tempo di residenza nel suolo (Cu, Zn, Cd), il tempo di residenza può essere efficacemente espresso da un modello lineare che trascura l’influenza della sostanza organica e può essere espresso con una singolare precisione dalla formula:

 

Tr =  A*SO; P>0,05

 

Una relazione simile si osserva nel profilo di Cliland (figura F442-1). Sia nei suoli di Villadossola che nel suolo di Cliland tra costante A e potenziale ionico PI dell’elemento sussiste una stretta relazione:

 

Villadossola,   A = -(2,13+/-0,034) + (9,50+/-0,08)/PI; n=3; r2=0.999; P=0,005

Cliland,          A = -(2,08+/-1,01) + (10,10+/-2.44)/PI; n=6; r2=0.810; P=0.015

 

La relazione tra costante A e potenziale ionico dell’elemento è simile nelle due aree in esame, ed i coefficienti della regressione differiscono meno del 10%. La relazione tra la costante A ed il tempo di residenza è molto simile alla relazione che intercorre la costante di stabilità K2 del complesso binario con l’acido acetico M(Ac)2 ed il potenziale ionico dell’elemento:

 

Ks2 = (1,6+/-0,4) + (9,5+/-0,8)/PI; n=6; r2=0,987; P=0,05

 

 

 



 


 


 

 

 

Considerato che tra tempo di residenza Trn dell’inquinante nello strato di suolo n e la costante cinetica del  rilascio Kn dell’inquinante dallo strato n al sottostante vale la relazione:

 

Trn  = 1/Kn

 

per gli elementi di transizione bivalenti la costante cinetica della lisciviazione può essere espressa con dalla formula:

 

Kn = [K2 * SO]-1

dove:

K2 = è la costante di stabililità del complesso (CH3COO)2M

SO = è  la concentrazione della sostanza organica nel suolo

 

La relazione riportata predice la cinetica della lisciviazione da uno strato di suolo al sottostante di Co, Ni, Cu, Ni, Cd e Pb con un’incertezza del 10% indipendentemente dalla tessitura  tutti i suoli osservati dove il pH è compreso tra 4 e 5 ed il contenuto di sostanza organica supera il  3g/100.

            La relazione osservata tra cinetica del rilascio dell’inquinante cationico bivalente e stabilità del complesso binario con l’acido acetico è in buon accordo con le indagini di laboratorio dalle quali risulta che la affinità dei gruppi carbossilici degli acidi umici per i metalli di transizione bivalenti è prossima a quella dei gruppi carbossilici dell’acido acetico (Munza B. et al., 1995). L’osservazione è inoltre in accordo con i risultati delle indagini in vitro dalle quali risulta che nell’intervallo di pH compreso tra 4 e 5, quello prevalente nei suoli indagati, il complesso che i composti umici formano con i metalli di transizione bivalenti è quello binario M-(OOC-R)2 (Shnitzer M, 1991).

 

            4.2.3.   Stima del tempo di autodepurazione dei suoli di Villadossola.

            Il modello a serbatoi e flussi ben descrive la mobilità verticale degli inquinanti e permette di identificare le proprietà chimico-fisiche che la condizionano. Esso permette inoltre di stimare il tempo necessario perché gli inquinanti vengano lisciviati al di sotto dello strato in cui l’attività radicale è più intensa.


 

F432-1.

 


  Le relazioni osservate tra le proprietà del suolo e le costanti cinetiche del rilascio dell’inquinante da uno strato al sottostante permettono ovviamente una stima più precisa dei tempi di autodepurazione del suolo.          Nella figura F423-1 è rappresentata la lisciviazione del Cu da un suolo avente le proprietà chimico fisiche medie dei suoli di Villadossola. Si può osservare che la distribuzione dell’inquinante attraverso il profilo evolve gradualmente da una forma esponenziale ad una curva gaussiana allargata. Simulazioni simili effettuate per gli altri elementi permettono di stimare che il tempo medio necessario affinché gli inquinanti raggiungano nei primi 15 cm di suolo concentrazioni prossime a quelle  litogeniche sono compresi tra i 30 ed i 60 anni in funzione  dell’elemento e delle proprietà del suolo. Si può comunque prevedere che in tale lasso di tempo la quasi totalità degli inquinanti non raggiunga profondità superiori al mezzo metro, rimando così biodisponibili per le specie arboree e arbustive per un lasso di tempo nell’ordine di 1-2 secoli.

4.5.    Biodisponibilità di Co, Ni, Cu, Zn, Cd e Pb nei suoli di Villadossola.

            La concentrazione di Co, Ni, Cu, Zn, Cd e Pb estraibili dal reagente di Lakanen è riportata nell’appendice A5. I valori medi dell’elemento biodisponibile espressi in mg/Kg sono riportati nella tabella T45-1. Nell’insieme dei suoli campionati la concentrazione dell’elemento biodisponibile (mg/Kg) è sempre correlata all’elemento totale con un limite di confidenza superiore al 5% (T45-2). La frazione biodisponibile percentuale media degli elementi è in ordine decrescente:

 

Co (3+/-38%)<Ni (5+/-15%)<Cd (35+/-14%)<Zn (57+/-5%)<Cu (68+/-2%)< Pb (79+/-5%)

 

Gli inquinanti (Pb, Cd, Zn, Cu) sono caratterizzati dall’essere biodisponibili in una quota percentuale superiore di un ordine di grandezza  a quella degli elementi di origine prevalentemente litogenica (Co, Ni). L’incertezza con la quale la concentrazione dell’elemento inquinante  biodisponibile può essere  prevista dalla concentrazione totale è compresa tra il 2 ed il 14%. Per gli elementi litogenici l’incertezza con la quale la concentrazione dell’elemento biodisponibile è prevedibile dall’estrazione con l’acqua regia è superiore a quella degli inquinanti, ed è  compresa tra il 15 ed il 38%.

            Nei suoli che a seguito dell’evento inquinante del biennio 1986-7 sono stati rimaneggiati dalle lavorazioni e quindi destinati a prato permanente la frazione biodisponibile di Pb, Cd e Zn è controllata dalla frazione fine limo + argilla e dalla sostanza organica:

           

Zn Fb = 0.194 + 0.0263 ·S.O. -0.0150 ·F;        P = 5.7 ·10-7; n=30;     r = 0.809

         Cd Fb = 0.864 + 0.0482 ·S.O. - 0.0463 ·F;       P = 2.0 ·10-6; n=30;     r = 0.788

         Pb Fb = 0.306 + 0.0337 ·S.O. -0.00414 ·F;       P = 6.4 ·10-3; n=30;     r = 0.558



Una analoga relazione si osserva quando si considera tutto l’insieme dei suoli campionati:

 

Pb Fb = 0,455 + 0,1300*S.O. - 0,0097*F; r2=0,256; n= 77;  P>0,001

Cd Fb = 0,688 + 0,0130*S.O. - 0,0295*F; r2=0,428; n= 77; P<0,001

Zn Fb = 0,205 + 0,0130*S.O. - 0,0109*F; r2=0,609; n= 77; P<0,001

Cu Fb = 0,354 + 0,0452*S.O. - 0,0049*F; r2=0,609; n= 77; P<0,001

 

            Le relazioni fra sostanza organica e frazione minerale suggeriscono che la frazione biodisponibile degli inquinanti sia controllata dalla reazione di scambio:

 

Argilla-M + 2HOOC-R = Argilla-H + M(OOC-R)2

 

            La frazione tessiturale che controlla la biodisponibilità è diversa in funzione della unità geomorfologica. Nelle spalle glaciali e nei suoli sviluppati sulle alluvioni del fondovalle la frazione biodisponibile dell’inquinante è negativamente correlata alla frazione fine del suolo, mentre sugli acclivi versanti vallivi è negativamente correlata alla sabbia fine (tabella T45-2). L’osservazione è in buon accordo con quanto osservato al riguardo della capacità di scambio cationico della frazione minerale, che risulta determinata dalla frazione fine nelle aree pianeggianti ed è controllata dalla sabbia fine sugli acclivi versanti vallivi.

            L’osservazione che la capacità di scambio cationico della frazione minerale del suolo lega l’inquinante con legami forti bloccandolo in forme non biodisponibili è in contraddizione con l’osservazione che la velocità di lisciviazione è inversamente proporzionale al contenuto di frazione fine limo + argilla. E’ noto che le Illiti dei suoli attorno al nucleo di mica inalterato presentano dei bordi di alterazione in vermiculite (Sawhney B.L., 1972. Bolt G.H. et al., 1963. Brouwer E. et al., 1983. Cremers A. et al., 1988. Francis C. W. e Brincley F. S., 1976. Grutter A. et al., 1986. Hill D. E. e Sawhney B. L., 1969. Jackson M. L., 1963. Klobe W. D. and Gast R. G., 1970. Le Roux J. e Rich  C.I., 1969. Le Roux J. et al., 1970. Rich C.I. e Black W. R., 1964. Sawhney B.L., 1969. Sawhney B.L., 1970). Le Illiti possono legare i cationi a bassa energia di idratazione con tre diversi siti, i silossilanici posti sulle superfici esterne dei cristalli, i siti silossilanici intrareticolari posti negli interstrati a spaziatura di 14Ä dell’orlo esterno del cristallo alterato in vermiculite e nei siti di cuneo interno che fanno da transizione tra il nucleo cristallino interno e il domino cristallino esterno alterato. Le isoterme di adsorbimento (Bolth G.H., 1979) indicano che i primi due siti hanno un’energia di

 




legame nei confronti degli metalli di transizione molto inferiore a quella formata con i composti umici. I siti di cuneo interno possono al contrario formare legame con cationi caratterizzati da basse energia di idratazione che hanno un ordine di grandezza confrontabile a quello dei composti ionici. I siti di cuneo

interno possono quindi competere con l’EDTA del reagente di Lakanen nel determinare la concentrazione del metallo presente nell’estratto. I composti umici sono adsorbiti sui minerali delle argille in corrispondenza dei bordi del cristallo legandosi attraverso i gruppi carbossilici ai metalli dello strato ottaedrico (Schnitzer M., 1991. Koyama M., 1995). Inoltre nell’interstrato delle vermiculiti possono penetrare composti molecole organiche quali i composti alifatici contenenti fino a 12 molecole di carbonio purché contenenti un radicale amminico (Wilson M.J., 1987) Recenti ricerche rese pubbliche in occasione del congresso della Società Italiana di Scienza del Suolo del 1999 indicano che incubando le Illiti con sostanza organica questa  può ostruire i siti di cuneo interno impedendone la reazione con il catione a bassa energia di idratazione ed impedendone la fissazione sul complesso di scambio. I dati riportati in letteratura sull’adsorbimento dei cationi a bassa energia di idratazione e le osservazioni condotte nella presente ricerca suggeriscono che la attività biologica e la sostanza organica del suolo impedisca ai siti di bordo interno ubicati sui bordi di alterazioni di fissare i cationi a bassa energia di idratazione, così che sembra ragionevole dubitare che in condizioni di terreno la solubilità e la biodisponibilità dell’inquinante nei suoli considerati sia principalmente determinata dai complessi organometallici.

 

4.6. Distribuzione areale di As, Bi, Sb, Co, Ni, Zn, Cu, Cd e Pb nei suoli del comune di Villadossola.   

Nella appendice A8 è riportata la quantità di metallo pesante presente nei primi 15 cm dei suoli indisturbati riferita ad un m2. Per i suoli che dopo l’evento inquinante sono stati omogeneizzati dalle lavorazioni la quantità di metallo è stata integrata attraverso l’intero spessore dell’orizzonte lavorato. I colori verde, giallo, arancione e rosso si riferiscono rispettivo al primo, secondo, terzo e quarto quartile. Per tutti gli elementi considerati, Il carico di metallo pesante per unità di superficie differisce dal primo al quarto quartile di un ordine di grandezza. E’ evidente dalle figure che la distribuzione attorno allo stabilimento siderurgico è alquanto irregolare e non lascia evincere una chiarissima distribuzione spaziale. In linea generale, si può osservare che l’area rossa, relativa all carico di metallo pesante maggiore, si allunga un circa uno-due  chilometri sottovento allo stabilimento siderurgico e lascia luogo a campioni  gialli o arancione. Sul versante destro della valle, prevalgono i campioni gialli o arancione. Sul versante sinistro della valle prevale di norma il colore verde, sebbene siano talvolta presenti campioni gialli.

 

 

 

4.7.    Raffronto delle concentrazioni totale e biodisponibile con i limiti di legge.

            Nessuno degli elementi considerati supera i limiti di soglia posti dalla normativa regionale per gli usi industriali. Per quanto concerne il Cu, si osserva che il limite di legge per l’uso agricolo e residenziale viene abbondantemente superato nei suoli dove è stata coltivata la vite. Nei suoli indisturbati che non hanno in passato la coltivazione della vite la concentrazione del Cu è sempre inferiore ai limiti di legge vigenti. I limiti di legge per l’uso residenziale e agricolo vengono per contro approssimati o superati dalle concentrazioni di Pb, Zn, Cu, e Cd, rispettivamente nel 2, 5, 9 e 10% della popolazione campionaria. Le soglie di bonifica di Pb e Cd sono superate nei suoli lavorati entro un raggio di 1-2 Km sottovento  allo stabilimento siderurgico e negli strati più superficiali dei suoli indisturbati in tutta l’estensione dell’area studiata.

            Tra gli elementi considerati a causa dell’elevata tossicità merita particolare attenzione il Cd. Per alcune specie quali la lattuga e lo spinacio si osserva una diminuzione del 25% della biomassa sostenuta dal suolo a soli 2-4 mg/kg di elemento pseudototale (Alloway D.C, 1986). In prossimità dello stabilimento siderurgico e in suoli dotati di 2 mg/kg di Cd totale alcuni agricoltori lamentano l’ingiallimento delle specie foraggiere. Il Cd infine si concentra in talune specie orticole quali la lattuga e lo spinacio e può dar luogo a fenomeni di accumulo nella biomassa.


5.

CONCLUSIONI

 

            Il livello di inquinamento dei suoli è elevato in entrambe le aree studiate. Il fattore di arricchimento antropico, ovvero il rapporto tra l’elemento antropico e quello litogenico, stimato sulla base degli inventari geochimici segue lo stesso ordine in Scozia e a Villadossola:

 

Cliland             Cd(14.96)>Pb(3.72) > Zn(2.53) > Cr(2,00) > Cu(1,77) >Co (1.51) > Ni(1.39)

Villadossola      Cd( 5.45)>Pb(3,05)>Zn(2,.50)>Cu(2,43)>Cr(2,26) >Ni(1,75) > Co(1.53)

 

I fattori di arricchimento antropici stimati in Italia ed in Scozia sono fortemente correlati  (r2 > 0,960, P<0,001) ai fattori di arricchimento suolo/roccia madre osservati nel Nord America a  conferman delle ipotesi che le attività siderurgiche abbiano determinato nell’emisfero australe un forte aumento della concentrazione nel suolo di Cd, Pb, Zn, Cu e Cr.

 

            L’elemento biodisponibile determinato nei suoli di Villadossola è ben correlato all’elemento estraibile in acqua regia (r2>0,85) ed è nell’ordine (%):

         

Villadossola:   Pb 79 > Cu 68 > Zn 57 > Cd 35 > Ni 5 > Co 3.

 

Indicando che nei suoli in esame  i fattori di trasferimento fornicono una stima relativamente accurata della concentrazione degli inquinanti nei veegetali.

 

            La frazione biodisponibile di Cd, Pb, Zn, Cu è determinata dalla sostanza organica e dalle argille presenti nella frazione fine F (limo+ argilla):

 

Pb fb = 0,455 + 0,1300*S.O. - 0,0097*F;     r2=0,256; n= 77;  P>0,001

Cd fb = 0,688 + 0,0130*S.O. - 0,0295*F;   r2=0,428; n= 77; P<0,001

Zn fb = 0,205 + 0,0130*S.O. - 0,0109*F;   r2=0,609; n= 77; P<0,001

Cu fb = 0,354 + 0,0452*S.O. - 0,0049*F;   r2=0,609; n= 77; P<0,001

 

La frazione fine blocca l’elemento in forme non biodisponibili mentre la sostanza organica lo complessa in forme biodisponibili. All’aumentare della costante di stabilità dei complessi organometallici  aumenta l’importanza della sostanza organica e diminuisce quella delle argille. La biodisponibilità dell’elemento è quindi controllata dalla reazione

 

Argilla-M + (HOOC-R)2 = Argilla-H + M-(OOC-R)2

 

il cui equilibrio è spostato a destra per gli elementi che come il Cu e Pb formano stabili complessi organometallici.

 

            La velocità di lisciviazione media degli inquinanti verso la falda è nell’ordine (cm/a):

 

Cliland:            Cd(1,4)>Co (1,24)> Ni(1,23)>Cu(1,14)>Pb(0,92)>Zn(0,92)

Villadossola:    As(1,42)>Cu(1,16)>Pb(0,83)>Cd(0,75)>Cr(0,74)>Sb(0,70)>Zn(0,66)

 

Nel profilo di Cliland, dove la tessitura del suolo è relativamente omogenea, la velocità di lisciviazione è principalmente limitata dal contenuto di sostanza per i metalli di transizione bivalenti ad elevato potenziale ionico e dalla capacità di scambio cationico per Cd e Pb. Nei suoli di Villadossola si osserva che la velocità di lisciviazione degli elementi presenti n forma cationica e anionica è controllata, oltre che dal contenuto in sostanza organica (SO), dalla sabbia fine (SF):

 

V Pb =0,244 – 6,70*SO + 1,9*SF;   n=18; r2=0,639; P<0,001

V Cd = 1,64 – 16,2*SO – 0,132*SF ;  n=17; r2=0,264 ; P=0,16

V Zn =  0,529 – 2,92*SO + 0,432*SF; n=12 ; r2=0,546 ; P=0,029

V Sb = -0,278 + 4,92*SO + 1,15*SF; n=16; r2=0.531 ; P=0.007

V Cr = -0,784 - 11,3*SO + 8,45*SF; n=16 ; r2=0.678 ; P<0,001

V Cu = 5,78 – 5.83*SO + 1,36*SF; n=10; r2=0,605; P=0,0039

 

La tessitura sciolta favorisce lo sgrondo delle acque e la lisciviazione degli inquinanti, mentre la sostanza organica li complessa in forme biodisponibili e poco mobili. La frazione fine non ritiene gli inquinanti presumibilmente sia poiché è completamente inglobata dai colloidi organici, sia poiché le forme più mobili sono i complessi datati di carica negativa. L’applicazione del modello a serbatoi e flussi permette di stimare che il tempo richiesto affinché gli inquinanti raggiungano le concentrazioni  litogeniche “normali” nei primi 15 cm di suolo, dove l’attività radicale delle piante erbacee è maggiore, in dipendenza dell’elemento e delle proprietà del suolo, è compreso tra 30 e 60 anni. Il tempo necessario affinché gli inquinanti raggiungano concentrazioni le litogeniche nel primo metro di suolo, è compreso tra 50 e 100 anni.

 

            La dispersione degli inquinanti attorno allo stabilimento è controllata dalla direzione dei venti. Le concentrazioni di inquinanti più elevate si osservano sottovento lo stabilimento siderurgico entro una distanza  di 1-2 Km, mentre  concentrazioni moderatamente elevate si estendono sottovento a distanze superiori ai 7 Km.


6.

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